Fegato grasso da obesità:

guardiamo ai fatti e alle evidenze

Il paziente obeso, anche pediatrico, va considerato nella sua globalità;
la sua gestione si basa necessariamente su dietoterapia e stile di vita.

Il punto di vista di Federica Ferrari:
Malattia severa?

Federica Ferrari

UOC Gastroenterologia

ed Epatologia Pediatrica,

Università di Roma

La Sapienza, Roma




Introduzione

L’obesità è aumentata in modo significativo in tutto il mondo nel corso degli ultimi tre decenni, diventando un importante problema di salute pubblica. Sulla base della definizione dell’International Obesity Task Force, la prevalenza dei bambini
obesi nei Paesi sviluppati è aumentata dal 16,9% al 23,8% per i maschi e dal 16,2% al 22,6% per le femmine.1 In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ha stimato nel 2014 che il 20,9% dei bambini è in sovrappeso, il 9,8% obeso, il 2,2% severamente obeso, con prevalenze più elevate nelle regioni del Centro-Sud.2

Parallelamente all’aumento di obesità si è assistito ad un incremento della diffusione della sindrome metabolica (SM) e delle complicanze ad essa correlate: diabete mellito di tipo 2, ipertensione arteriosa, apnee ostruttive del sonno, problemi articolari, problemi psicologici e non ultima la steatosi epatica non alcolica (non alcoholic fatty liver disease, NAFLD).3,4

La steatosi epatica
non alcolica

Parallelamente all’aumento di prevalenza dell’obesità infantile, la NAFLD è oggi considerata la causa più comune di malattia epatica tra i bambini e gli adolescenti nei Paesi industrializzati.5 NAFLD e SM hanno entrambe una patogenesi multifattoriale, basata principalmente su due fattori scatenanti: l’obesità centrale (o viscerale) e l’insulino-resistenza (Figura 1). La NAFLD non può essere considerata esclusivamente una patologia epatica, bensì un disordine sistemico, epifenomeno epatico della SM.6

La determinazione della reale prevalenza di NAFLD è limitata dall’utilizzo, come metodi di diagnosi, di marcatori surrogati non invasivi. La biopsia epatica rappresenta il gold standard per la diagnosi di NAFLD, ma resta un’indagine invasiva non utilizzabile come metodo di screening. Un ampio studio autoptico ha dimostrato una prevalenza di NAFLD del 9,6% nei bambini di età compresa tra 2 e 19 anni e del 38% in bambini obesi.7 Come negli adulti, la NAFLD pediatrica è definita come la presenza di steatosi macrovescicolare in più del 5% degli epatociti in assenza di altre cause che possono portare alla deposizione di grasso nel fegato. Essa comprende un ampio spettro di condizioni (Figura 2):

1) steatosi semplice

2) steatosi con infiammazione (steatoepatite non alcolica – NASH)

3) cirrosi.







Comorbilità e complicanze della nafld

La NAFLD è una patologia complessa che può avere ripercussioni sistemiche. Innanzitutto, sebbene il danno epatico sia per definizione asintomatico, i bambini con NAFLD riportano spesso sintomi: i più comuni sono irritabilità (73%), astenia (68%), cefalea (60%), difficoltà di concentrazione (55%) e dolori muscolari o crampi (53%). In uno studio NASH CRN, il 39% dei bambini obesi con NAFLD riporta un’alterata qualità della vita, con livelli più alti di depressione rispetto ai bambini obesi.8

La presenza di un coinvolgimento epatico precoce è associata a un profilo di rischio cardiovascolare elevato caratterizzato da ipertensione, dislipidemia, aumento dello spessore della tonaca intima della carotide e disfunzione ventricolare sinistra.9–11




Inoltre, recenti studi hanno riportato un’associazione tra NAFLD e sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS): tale correlazione conduce a sonnolenza diurna, scarso rendimento scolastico e roncopatia. Le frequenti apnee notturne, inoltre, producono ipossia e stress ossidativo, che possono contribuire alla progressione della steatoepatite in fibrosi a causa di un danno da ischemia-riperfusione.12

Negli adulti la NAFLD è una causa sempre più comune di carcinoma epatocellulare (HCC), mentre per quanto non si conosca l’incidenza nei bambini, l’HCC costituisce comunque un evento raro. È stato, infatti, riportato un unico caso di HCC su fegato grasso in un bambino obeso di 7 anni.13

In uno studio tedesco condotto su 28.000 bambini obesi, seguiti per 30 anni, è stato dimostrato che all’aumentare di un punto di BMI z-score dopo i 13 anni aumenta il rischio del 33% di sviluppare HCC, ma non è descritta la correlazione con la NAFLD.14

Evoluzione della nafld

Attualmente sono pochi gli studi prospettici longitudinali che descrivono l’outcome della NAFLD in età pediatrica. È comunque noto che non tutti i pazienti che presentano fattori di rischio per la SM sviluppano NAFLD, e che la progressione da NAFLD a NASH e poi a cirrosi può essere rapida solo in un determinato cluster di pazienti. Una progressione rapida è stata descritta per la prima volta da Molleston et al.15 in un bambino di 12 anni con NASH e fibrosi lieve alla diagnosi, il cui quadro è progredito in cirrosi con sviluppo di ipertensione portale, ascite ed encefalopatia epatica entro i 14 anni d’età.

In due recenti report condotti dal NASH CNR, sono state descritte due popolazioni pediatriche, rispettivamente di 58 e 102 bambini, in cui il quadro istologico di NAFLD si manteneva stabile per 2 anni nel 75% dei casi mentre nel restante 25% si assisteva ad una progressione; il 20% dei bambini sviluppava fibrosi avanzata.16,17

Un solo studio retrospettivo condotto nel Minnesota riporta infine una mortalità superiore nei bambini con NAFLD rispetto alla popolazione generale.18

Il futuro del bambino
con fegato grasso

La NAFLD pediatrica è un importante problema di salute pubblica a causa del notevole aumento della prevalenza e delle possibili implicazioni per il futuro sviluppo di disfunzione epatica, diabete e malattie cardiovascolari. I bambini che presentano NAFLD richiedono un follow-up regolare ma non è possibile stabilirne la frequenza perché poco è noto ancora sulla storia naturale e la rapidità della progressione di questa malattia.




L’eccesso ponderale e le complicanze presenti spesso già in età pediatrica si mantengono nel corso delle successive fasi di sviluppo, così che un bambino obeso ha molte probabilità di diventare un adulto obeso se non vengono messe in atto adeguate strategie preventive/terapeutiche.

I cambiamenti nello stile di vita e la dietoterapia costituiscono al momento l’unica reale strategia per tentare di fronteggiare il problema dell’obesità a lungo termine. È inoltre ben documentato che anche nel trattamento della NAFLD, la perdita di peso riduce il deposito di acidi grassi liberi nel fegato, migliora l’insulino-sensibilità extraepatica permettendo un migliore utilizzo del glucosio a livello periferico e promuovendo la riduzione della produzione di radicali liberi dell’ossigeno. È bene sottolineare che non è ancora perfettamente codificato lo schema nutrizionale più efficace, anche se ci sono evidenze che supportano il ruolo benefico della dieta mediterranea. Altri accorgimenti dietetici includono la riduzione dell’introito di fruttosio, di acidi grassi saturi/trans e l’aumento dell’intake di fibre e di acidi grassi polinsaturi, come gli omega 3. È stato infatti dimostrato che una dieta ricca di saccarosio e fruttosio aumenta la lipogenesi de novo, aumentando i livelli di trigliceridi e di colesterolo.19–20

Purtroppo, al termine del follow-up dopo dieta ipocalorica, circa i 2/3 dei pazienti riprendono il peso iniziale, con ricomparsa del danno epatico talvolta in maniera anche più marcata. Le difficoltà dei pazienti ad aderire alla dieta ipocalorica e la ridotta percentuale di riuscita dell’intervento dietoterapico hanno indotto i ricercatori a sperimentare strategie farmacologiche supplementari che sembrano aver dato risultati incoraggianti negli studi iniziali. Tuttavia, molti studi pubblicati su diversi tipi di trattamento, tra cui vitamina E, acidi grassi omega-3, prebiotici e probiotici, sono stati condotti su campioni di piccole dimensioni e con brevi periodi di follow-up

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18. Feldstein AE, Charatcharoenwitthaya P, Treeprasertsuk S, et al. The natural history of non-alcoholic fatty liver disease in children: a follow-up study for up to 20 years. Gut 2009;58:1538-44.

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Il punto di vista di Giusy Ranucci:
Malattia amplificata?

Giusy Ranucci

Dipartimento di Scienze

Mediche Traslazionali,

Università di Napoli Federico II,
UOS Epatologia Pediatrica, AOU
Federico II, Napoli

Affrontiamo la problematica del fegato grasso da obesità, focalizzando l’attenzione su alcuni indicatori di severità della malattia: cirrosi, epatocarcinoma, epatotrapianto.

Quanti casi di fegato grasso in età pediatrica evolvono sfavorevolmente verso la cirrosi? Si tratta di percentuali realmente elevate a fronte dell’elevato numero di ragazzi obesi?

Partiamo dalle cifre dell’età adulta: è riportato che il 15–20% degli adulti con steatoepatite non-alcolica (NASH) sviluppa fibrosi e cirrosi1 e che il 19% degli adulti viene epatotrapiantato per NASH.2

In età pediatrica mancano stime precise sulla prevalenza di fibrosi, cirrosi ed epatocarcinoma in ampie coorti di bambini con fegato grasso da obesità seguiti in ben definiti archi temporali. Gli studi disponibili disegnano scenari allarmanti nonostante la mancanza di dati numerici significativi. Ecco di seguito alcuni esempi. Uno dei pochi studi sulla storia naturale del fegato grasso in età pediatrica, di Feldstein et al.,3 enfatizza il rischio di una evoluzione sfavorevole riportando testualmente che: 1) i bambini con NAFLD possono sviluppare malattia epatica terminale con conseguente necessità di epatotrapianto; 2) la NAFLD nei bambini, visti in un centro di terzo livello, si può associare ad una significativa riduzione della sopravvivenza rispetto alla popolazione generale.

Analizziamo adesso le cifre che vengono riportate in questo studio rispetto alle conclusioni appena enunciate. Nello studio erano arruolati 66 bambini di cui solo 29 avevano un dato istologico epatico, che è quello che meglio consente una definizione della severità dell’epatopatia. Un elemento sorprendente di questa popolazione è che non tutti erano obesi, ma solo il 66%. Inoltre, il 17% dei pazienti non presentava alcun segno di sindrome metabolica. Quindi una discreta quota di questa casistica, che viene citata da numerosi studi come quella di riferimento in tema di storia naturale del fegato grasso da obesità in pediatria, è costituita da pazienti senza sindrome metabolica e senza obesità.

Gli autori descrivono nella loro casistica 2 soli casi di epatotrapianto. Nel primo caso si trattava di una femmina ispanica di 11 anni con un BMI di 26,9 Kg/m2, dislipidemia, cirrosi e varici esofagee all’esordio. Trapiantata a 20 anni per una sindrome epatopolmonare, presentava NASH ricorrente a 9 mesi dal trapianto. Il secondo caso riguardava una femmina di 19 anni con BMI di 33,6 kg/m2 e basso HDL (unico parametro metabolico disponibile, in assenza di informazioni sul colesterolo totale). Il trapianto di fegato veniva effettuato a 25 anni per una sindrome epatopolmonare, con ricorrenza della NASH a 14 giorni dal trapianto. La paziente decedeva poi per malattia multiorgano a 27 anni. Entrambi tali casi presentavano un quadro clinico molto severo e con rapida ricorrenza della NASH dopo epatotrapianto che fa riflettere sulla eziologia realmente in gioco. In particolare, nello studio ci sono poche informazioni sulla diagnosi differenziale effettuata e sulle entità escluse. Per esempio, non c’è alcun riferimento ad entità come i disordini dell’ asse ipotalamo-ipofisario (in cui è descritta tipicamente la ricorrenza della NASH dopo il trapianto) ed il deficit di lipasi lisosomiale acida (CESD) che condivide la dislipidemia con l’obesità ed ha un fenotipo variabile con possibile NAFLD isolata nel bambino.




Nel lavoro di Feldstein i casi descritti di cirrosi sono 2 e sono gli stessi due pazienti epatotrapiantati di cui sopra. Complessivamente sono riportati 2 casi di morte, inclusi nel gruppo a prognosi infausta (pazienti che muoiono e/o vengono epatotrapiantati). Trattandosi di morti legate a complicanze della chirurgia bariatrica, ci si chiede se è corretto ritenere queste morti dipendenti dall’epatopatia.

Ancora, nell’introduzione del lavoro di Feldstein c’è scritto testualmente che sono stati riportati in letteratura casi ‘ben documentati’ di cirrosi epatica in bambini con fegato grasso da obesità. Proviamo a ricercare nelle referenze dello studio le informazioni riguardanti questi casi ‘ben documentati’ di cirrosi. In totale, si tratta di appena 5 casi. Due casi sono estrapolati da una lettera all’editore:4 uno dei pazienti era un bambino di 12 anni con una storia di craniofaringioma trattato chirurgicamente. Quindi, uno di questi due pazienti aveva una condizione di obesità da deficit ipotalamo-ipofisario ben diversa dalla obesità esogena. Un ulteriore caso severo, descritto in un’altra lettera all’editore,5 si riferiva ad un bambino obeso dall’età di 6 anni, che a 30 anni (ben oltre l’età pediatrica) sviluppava per la prima volta ipertransaminasemia e a 32 anni presentava scompenso epatico con evidenze istologiche di cirrosi. Questo paziente non soddisfaceva alcun criterio di sindrome metabolica per cui, anche in questo caso, l’attribuzione dell’epatopatia alla obesità è alquanto dubbia. Inoltre, nonostante il paziente avesse una ceruloplasmina bassa, la malattia di Wilson era esclusa sulla base della sola determinazione della cupruria, per cui – dal punto di vista formale – non si può essere certi che non fosse affetto dalla malattia di Wilson.

Gli altri due casi erano casi unici documentati in due casistiche: una pubblicata nel 2003 da Schwimmer includente 43 bambini obesi6 e l’altra di 299 pazienti, pubblicata nel 1984.7

In definitiva, sebbene non si possa confutare l’affermazione contenuta nelle conclusioni dello studio di Feldstein sulla possibile evoluzione sfavorevole dei bambini con epatopatia steatosica, l’analisi dettagliata dei casi evidenzia inequivocabilmente che questa evenienza è estremamente rara.

Per quanto riguarda altre segnalazioni di cirrosi in età pediatrica, uno studio pubblicato dallo stesso Schwimmer nel 2005 su Hepatology relativo all’istopatologia dei bambini con NAFLD riporta 3 casi di cirrosi (probabilmente uno di questi è lo stesso descritto nel 2003) e 8 casi di fibrosi avanzata su 100 studiati istologicamente.8 Purtroppo però non vengono fornite dettagliate caratteristiche di questi pazienti. Anche in questo studio si confermava comunque che in circa due terzi dei casi la fibrosi era assente o lieve.8

È degno di nota che uno studio italiano che ha valutato l’istologia epatica su un campione numeroso di 203 bambini con fegato grasso non ha documentato nessun caso di fibrosi allo stadio 4 e/o di cirrosi.9

Alla luce di tutti questi dati non sembra che i bambini con fegato grasso da obesità abbiano realmente un elevato rischio di progredire verso la cirrosi e l’epatotrapianto.

Quanti soggetti con fegato grasso da obesità hanno richiesto l’epatotrapianto in età pediatrica?

Sta avendo una grande risonanza un recente studio ‘Liver transplantation for nonalcoholic steatohepatitis in young patients’ che riporta come la NASH possa richiedere l’epatotrapianto in età pediatrica e nella giovane età adulta.10 Questo studio colmerebbe quindi la mancanza di casi pediatrici severi di cui abbiamo prima parlato. Analizziamo però le cifre di questo studio, condotto negli USA su bambini e giovani adulti con cirrosi su NASH che hanno necessitato di trapianto dal 1987 al 2012. Gli autori, partendo dal registro degli epatotrapiantati under 40, hanno incluso nello studio tutti quelli trapiantati per NASH (senza ulteriori informazioni sulla causa di NASH) e quelli per cirrosi criptogenica associata ad un BMI ≥ 30 kg/m2. Un primo semplice dato numerico che sembrerebbe confortante (e assolutamente non scoraggiante) è che la frequenza degli epatotrapianti per NASH e cirrosi criptogenica associata ad obesità, nella intera popolazione studiata, è pari a 1,67% (330/19904). Ma questa bassa percentuale non viene riportata nell’abstract né enfatizzata nelle conclusioni. Particolarmente sorprendente poi è la distribuzione dei pazienti nelle varie fasce di età: solo il 4,2% dei casi (14 pazienti) aveva un’età inferiore ai 18 anni, il 16,4% un’età compresa tra i 18 ed i 29 anni ed il 79,4% un’età tra i 30 ed i 40 anni. Ci si chiede come sia possibile proporre questo studio come espressivo dell’età pediatrica se l’età mediana della popolazione studiata era di 36 anni e se solo il 4,2 dei casi aveva un’età inferiore ai 18 anni. Se poi consideriamo il BMI medio della popolazione (33,6 ± 6,3) ed i valori di BMI corrispondenti al 25° e al 75° percentile (30,8 e 36,7, rispettivamente), viene fuori che circa il 15% dei casi aveva un valore di BMI <25 kg/m2 e quindi assenza di obesità.

Pertanto, non solo i trapianti per NASH nei primi 18 anni di vita sono pochi, ma sembra tutt’altro che sicuro il nesso causale tra obesità e NASH in una discreta parte di questa casistica.

Eppure questo lavoro viene citato ormai come prova del rischio di epatotrapianto nei bambini obesi.11 Per rafforzare il concetto dell’estrema rarità del ricorso all’epatotrapianto nei bambini con fegato grasso da obesità, c’è l’assenza di questi casi nelle casistiche degli epatotrapiantati in età pediatrica di autorevoli centri europei12 e statunitensi.13




Quanti bambini con fegato grasso sviluppano epatocarcinoma in età pediatrica?

Le review sulla storia naturale del fegato grasso da obesità in età pediatrica sostengono nella parte introduttiva che la NAFLD possa evolvere in epatocarcinoma nel bambino.3,11 Benché tale affermazione abbia un fondamento dal punto di vista patogenetico, considerato il ruolo noto dell’obesità e dell’insulino-resistenza nella cancerogenesi, ci chiediamo quanto tale constatazione è supportata dai numeri e dai casi descritti di epatocarcinoma in età pediatrica. Ad oggi sono stati descritti solo 2 casi di epatocarcinoma in pazienti con concomitante fegato grasso ed obesità. È lecito concludere che questi casi di epatocarcinoma siano legati con un nesso di causalità all’obesità? Oppure, più probabilmente, si è trattato solo di una associazione casuale? Soprattutto se consideriamo che uno dei due pazienti aveva una steatosi semplice senza infiammazione né cirrosi e non erano presenti parametri clinici e laboratoristici di sindrome metabolica.14 Come affermato anche sul New England Journal of Medicine nel 2011 considerata la paucità dei dati che mostrano una correlazione diretta tra progressione della NAFLD ed epatocarcinoma, attualmente le stime del rischio non sono chiare e la NAFLD può essere considerata un fattore di rischio probabile ma non certo.15

Ciò che invece è provato dalla letteratura è che l’obesità infantile di per sé aumenti il rischio di carcinoma epatico nell’età adulta, come pure di altri carcinomi.16 Pertanto appare più importante focalizzarsi sul bambino obeso in generale piuttosto che sul suo fegato grasso.

Quali sono le strategie terapeutiche efficaci per la gestione del fegato grasso in età pediatrica?

È ben documentato che il trattamento dell’epatopatia steatosica da obesità si avvale della modifica dello stile di vita e include la dieta ipocalorica e l’incremento dell’attività fisica.17,18 Tali provvedimenti si sono dimostrati capaci di revertire il danno epatico. Gli studi disponibili in età pediatrica su trattamenti farmacologici complementari sono stati spesso effettuati su casistiche molto esigue dal punto di vista numerico. La valutazione dell’efficacia dei vari presidi si è basata nella maggior parte dei casi sui livelli sierici delle transaminasi con poche determinazioni (singole determinazioni all’inizio e alla fine della sperimentazione) dopo un intervento di breve durata.




Resta inoltre di difficile comprensione dal punto di vista fisiopatologico come un intervento di breve durata (per esempio: somministrazione di probiotico per pochi mesi) possa avere un impatto così rapido sull’assetto del microbiota intestinale, che risulta altamente mutabile e predeterminato da fattori prenatali, perinatali ed ambientali, e come si possa pensare di rendere quest’effetto duraturo nel tempo (visto che le complicanze sono previste nel lungo termine).

Ma proviamo ad estremizzare la presunta efficacia dei trattamenti farmacologici e accettiamo, per esempio, l’ipotesi che un presidio come i probiotici possa avere realmente un impatto sul danno epatico. Di conseguenza, nella pratica clinica questo presidio dovrebbe essere prescritto al paziente insieme con la raccomandazione di ridurre l’apporto calorico e di incrementare l’attività fisica. Vista l’età dei pazienti pediatrici e la necessità di preservare a lungo il fegato dai danni dell’obesità, per quanto tempo (lustri? decenni?) dovrebbe essere prescritta questa ‘associazione’ e con quali costi economici? Non è probabile, inoltre, che la proposta al paziente di un farmaco ancillare rispetto alla dieta e all’esercizio fisico faccia distogliere la sua attenzione dalla dieta e dall’esercizio fisico? Ancora, considerato che il paziente obeso possiede non solo il fegato, ma anche una serie di altri organi che – al pari del fegato – possono essere danneggiati dall’eccesso ponderale, siamo sicuri che l’uso di questi farmaci, eventualmente benefici per il fegato, curi anche gli altri organi?

Ovviamente con ciò nessuno vuole negare l’utilità delle ricerche sui meccanismi patogenetici della steatosi epatica e del potenziale ruolo dei farmaci e degli integratori alimentari. Quello che si auspica però è che la dimostrazione della loro efficacia avvenga con una metodologia robusta e su ampie casistiche

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Raffaele Iorio:
Un tentativo … di sintesi

Raffaele Iorio

Dipartimento di Scienze
Mediche Traslazionali,
Università di Napoli Federico II,
UOS Epatologia Pediatrica,
AOU Federico II, Napoli

Non ci sono dubbi che condizioni quali obesità, fumo, ipertensione arteriosa abbiano un impatto negativo sulla salute e sulla sopravvivenza. Tuttavia non tutte le informazioni che circolano su questi fattori di rischio sono sostenute da robuste e inequivocabili prove scientifiche. Nel 2013 il New England Journal of Medicine ha messo in guardia sulla presenza di molte presunzioni e miti sull’obesità che non hanno un chiaro fondamento scientifico.1

Partendo dal presupposto che il medico moderno deve basare i propri comportamenti su ciò che è scientificamente dimostrato e non su ciò che sembra plausibile, cerchiamo di valutare criticamente i due punti di vista sul fegato grasso da obesità.

Prima di tale valutazione, soffermiamoci su un fenomeno in espansione che è quello del ‘disease mongering’, un fenomeno per cui c’è una diffusa tendenza ad amplificare alcune malattie o ad allargarne i confini diagnostici al fine di promuovere il consumo dei relativi farmaci.2 Trent’anni fa Henry Gadsen, direttore della casa farmaceutica Merck, dichiarò alla rivista Fortune: “Il nostro sogno è produrre farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”. Pur nella consapevolezza degli straordinari progressi compiuti dalla medicina negli ultimi anni con la disponibilità di farmaci in grado di modificare radicalmente la prognosi di molte malattie (leucemia linfoblastica acuta pediatrica, AIDS, epatite C, ecc.), non possiamo ignorare che le strategie di marketing di alcune case farmaceutiche hanno oggi come target non i malati ma le persone sane. Qualche esempio può dare il senso di questo fenomeno: molti soggetti vengono trattati a lungo termine per valori di colesterolo o di osteoporosi border-line in assenza di un rischio concreto e con i conseguenti risvolti in termini di effetti collaterali e di costi. È sempre più diffuso anche tra i giovani l’uso di farmaci per la disfunzione erettile senza che ce ne sia l’indicazione. L’influenza H1N1 può causare danni severi e morte, ma non si può negare che la psicosi di pochi anni fa intorno a questa condizione era scarsamente supportata dal numero dei casi e dalle evidenze scientifiche.3 Con queste considerazioni non si vogliono negare gli effetti negativi sulla salute dell’obesità e delle sue complicanze, ma semplicemente offrire una visione critica che tenga conto dei fatti e non delle presunzioni e, soprattutto, che non applichi acriticamente ai bambini le acquisizioni maturate in età adulta o senile.




Sicuramente le conclusioni di Federica Ferrari sulla probabilità che il bambino obeso di oggi divenga l’adulto obeso di domani con tutte le comorbilità associate sono accettabili. Certamente è auspicabile attuare tutte le strategie preventive e terapeutiche per bloccare questa epidemia di obesità. Resta da chiarire la concreta possibilità che abbiamo, con gli strumenti attualmente disponibili, di intervenire in modo efficace sul trattamento dell’obesità infantile evitando di sprecare risorse e di proporre farmaci che non abbiano chiare dimostrazioni della loro efficacia su studi effettuati su ampie coorti di pazienti e con adeguata metodologia. Nello stesso tempo bisogna evitare di avere una posizione di astensionismo (probabilmente eticamente non accettabile), che deriva dall’osservazione che nella maggior parte dei casi c’è una scarsa aderenza degli obesi alla dieta e alla modifica dello stile di vita.

Ciò premesso, ci si chiede se è lecito focalizzare l’attenzione sul fegato grasso del bambino obeso proponendo trattamenti ancillari vari e costosi, in aggiunta alla dieta e all’esercizio fisico, nonostante non esistano forti evidenze che tale epatopatia sia realmente così pericolosa nel breve-medio termine e nonostante l’efficacia di tali presidi farmacologici sia tutt’altro che chiaramente documentata. È forse più ragionevole concentrarsi sul paziente obeso nella sua globalità e ritenere il coinvolgimento epatico uno dei tanti coinvolgimenti d’organo che l’obesità comporta e che la strategia di gestione del paziente obeso deve necessariamente basarsi sulla dietoterapia e sulla modifica dello stile di vita (pur con tutti i problemi di compliance che ci sono).

Per quanto riguarda il fenomeno del disease mongering, paventato da Giusy Ranucci, si potrebbe eccepire sul fatto che l’obesità e le sue complicanze hanno un impatto così severo (e così fortemente documentato) sulla salute pubblica che non è lecito ipotizzare una amplificazione ad arte di tale condizione per interessi commerciali. Non si può ignorare però che, pur nella consapevolezza che l’obesità pediatrica può effettivamente determinare una riduzione della sopravvivenza della generazione attuale rispetto a quella precedente (una riduzione della sopravvivenza dei figli rispetto a quella dei genitori!), c’è una diffusa tendenza in letteratura ad enfatizzare complicanze epatiche severe che, come riportato sopra, sono di fatto poco comuni e soprattutto a proporre trattamenti farmacologici che non solo hanno una debole fondatezza scientifica, ma hanno il potenziale rischio di distogliere l’attenzione dei pazienti dalla dietoterapia e dalle modifiche dello stile di vita che rimangono, al momento, imprescindibili. Con ciò chiaramente non si desidera assolutamente ignorare o denigrare la fervida attività di ricerca sui meccanismi patogenetici che sottendono i danni d’organo dell’obesità e che, in futuro (...ma solo dopo l’acquisizione di robuste evidenze), potrà avere un impatto sul trattamento di questa insidiosa e frequente condizione

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. Casazza K, Fontaine KR, Astrup A, et al. Myths, presumptions, and facts about obesity. N Engl J Med 2013;368:446-54.

2. Doran E, Henry D. Disease mongering: expanding the boundaries of treatable disease. Intern Med J 2008;38:858-61.

3. Vance MA. Disease mongering and the fear of pandemic influenza. Int J Health Serv 2011;41:95-115.