Consulenza su farmaci e allattamento:
dal caso clinico a un orientamento generale

Non è possibile né utile stilare delle liste di farmaci

secondo varie categorie di rischio in corso di allattamento.

Riccardo Davanzo

Neonatologo – Istituto Materno-Infantile IRCCS Burlo Garofolo, Trieste




IL CASO DELLA SIGNORA ELISA.

Elisa è una donna di 37 anni, laureata, amministratrice di una attività commerciale di famiglia. Ha partorito per via vaginale il primogenito Giovanni, di peso 3490 gr, a 41 settimane di età gestazionale. Apgar 8–10, adattamento neonatale rallentato con alitamento delle pinne nasali, gemito occasionale e polipnea (68/min) evidenziate a 1 ½ di vita, mentre era a contatto pelle a pelle poco dopo aver succhiato al seno. Giovanni a 5 h di vita sta bene e si trova pronto per avviare il rooming-in. La madre richiama l’attenzione della infermiera di turno sulla compatibilità dell’allattamento al seno con la terapia che sta seguendo a base di lorazepam (1 mg x 2/die per os) e paroxetina (20 mg per os/die). La donna è in trattamento per una sindrome depressiva. Il pediatra-neonatologo viene coinvolto per esprimere un suo giudizio.




L’assunzione del colostro

non è un problema!

Indipendentemente dalla valutazione che il medico verrà a fare sulla compatibilità con l’allattamento al seno, ci si potrebbe chiedere che rischi eventuali abbia potuto implicare una poppata “incontrollata” in sala parto. In realtà la quota di farmaco che un bambino assume col colostro è in generale trascurabile, proprio per i limitati volumi di produzione del colostro (10-50 ml/die). L’eventuale problema di un’esposizione a un farmaco si pone sostanzialmente solo dopo la montata lattea. Anche in assenza di informazioni tempestive e precise sulla sicurezza d’uso di un farmaco non è necessario quindi tenere in sospeso l’avvio dell’allattamento al seno e c’è tempo sufficiente per condurre nel giro di 24 h una breve documentata indagine sul rischio lattazionale.1

Valutazione del rischio:

attitudine e metodologia

Naturalmente il nostro pediatra potrebbe risolvere sbrigativamente la consulenza considerando che lorazepam e paroxetina sono farmaci neurotropi potenzialmente influenzanti lo sviluppo neuroevolutivo del lattante nel caso di passaggio nel latte materno. In realtà, così facendo disconoscerebbe i benefici dell’allattamento al seno, che sono ben noti e scientificamente provati, mentre enfatizzerebbe un rischio ancora imprecisato dovuto all’esposizione del poppante ai due farmaci attraverso il latte materno. La positiva attitudine a valorizzare l’allattamento al seno e a limitare la somministrazione dei sostituti del latte materno solo nei casi veramente necessari, porta a investire del tempo nella ricerca bibliografica, come suggerito anche dal Tavolo Tecnico sull’Allattamento (TAS) del Ministero della Salute.2 Ma ci sono testi di riferimento? Sicuramente sì. L’Hale per esempio!3 Più facile ed economico è però accedere al sito LactMed dei National Institutes of Health.4 Su questo sito si possono trovare le informazioni sul passaggio di un farmaco nel latte, sui suoi livelli nel sangue del lattante, sugli eventuali effetti collaterali rilevati sul lattante e una valutazione complessiva dell’uso in corso di lattazione.




Ragionando sulla paroxetina

Dati di farmacocinetica

L’aggiornamento della scheda della paroxetina sul LactMed data 31 marzo 2015. Troviamo scritto che per assunzioni di 10-50 mg/die di paroxetina la concentrazione massima riscontrata nel latte è di 153 mcg/L ossia 0,153 mg/L. Come si può notare è una concentrazione dell’ordine dei microgrammi, a fronte di una dose materna espressa in milligrammi. Questo differente ordine di grandezza sottolinea il concetto generale che la quota nel latte risulta limitata. Calcolando un’ipotetica assunzione di latte materno pari a 150 ml/kg/die (che a dire il vero si ha solitamente solo dopo la prima settimana di vita), un bambino di 3.490 gr, che assuma ½ litro al giorno di latte (523 ml per la precisione), introdurrà circa 0,08 mg di paroxetina al giorno, per una dose teorica del lattante (theoretical infant dose o TID) di 0,023 mg/kg/die. La quota di farmaco pro chilo di peso assunta dalla madre era invece di 0.28 mg/kg/die (20 mg per un peso convenzionale stimato di 70 kg). Facendo ora il rapporto fra dose infantile espressa in mg/kg/die e dose materna pure espressa in mg/kg/die si ottiene un rapporto, che rappresenta la dose relativa del lattante (relative infant dose o RID). La RID per la paroxetina è di circa 1%, ben al di sotto del limite di sicurezza indicato convenzionalmente al 10% per tutti i farmaci.3 Naturalmente la RID è solo uno dei parametri da poter prendere in considerazione, ma ha il vantaggio di evidenziare quanto della dose materna un lattante riceva rispetto alla madre. La paroxetina in definitiva passa nel latte e anche se Hale nel suo testo ci dice che la sua biodisponibilità orale è completa, alla fine i livelli di paroxetina nel sangue del lattante sono solitamente sotto soglia di dosabilità.

Dati tossicologici

I dati si riferiscono a figli di donne che avevano assunto, come nel nostro caso, la paroxetina anche in corso di gravidanza. Sono incostantemente riportati alcuni effetti collaterali quali agitazione, irritabilità, pianto ingestibile, disturbi del sonno e alimentari, risposta attenuata al dolore, rallentamento della crescita e lieve ritardo psicomotorio. In un caso clinico si segnalava ipopotassiemia, alcalosi ipocloremica e lieve disidratazione, ma il rapporto causale con la paroxetina non trovava plausibilità eziopatogenetica. L’assunzione di inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) a fine gravidanza si correla infine con un rischio maggiore di alterato adattamento neonatale (come nel nostro caso).

Effetti della paroxetina sulla lattazione

Gli inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) e nello specifico la paroxetina stimola la prolattina e in donne non gravide e che non allattano può portare a iperprolattinemia e galattorrea. Questo effetto non sembra avere implicazioni negative nel caso di una donna in allattamento. Gli SSRI invece sono associati ad un ritardo di circa 17 h della lattogenesi II (montata lattea).

In sintesi

La maggior parte delle fonti autorevoli consi-derano la paroxetina come uno degli antidepressivi da preferire in corso di allattamento al seno, in considerazione dei rari e comunque lievi effetti collaterali sul lattante riportati in letteratura. Va però osservato come non sia possibile discriminare sicuramente fra sintomi attribuibili al farmaco e sintomi attribuibili piuttosto al disagio psichico di una madre con depressione. In generale i disturbi sono più frequenti quando, come nel nostro caso, l’assunzione dell’antidepressivo avviene anche in gravidanza.

Alternative alla paroxetina?

Questo problema si pone eventualmente se il farmaco è controindicato e non, come nel nostro caso, quando è giudicato sicuro. Secondo la scala di rischio lattazionale di Hale (L1 massima sicurezza; L2 sicurezza; L3 probabile sicurezza; L4 possibilmente rischioso; L5 controindicato) la paroxetina è giudicata L2. La sertralina è certamente considerata un antidepressivo ancor più sicuro, di prima scelta per la donna che allatta e che debba iniziare un trattamento antidepressivo5, ma nel nostro caso non ci sogneremo di mettere in discussione la scelta della paroxetina.

Sull’uso del lorazepam

È ragionevole supporre che l’associazione di due farmaci ad azione sul sistema nervoso centrale aumenti il rischio di effetti collaterali (nel bambino così come nella madre) e meriti una ancor più attenta sorveglianza del lattante. Se tuttavia ciascuno dei due farmaci è giudicato compatibile, due valutazioni di liceità in corso di allattamento non possono trasformarsi in una controindicazione se i due farmaci sono usati contemporaneamente. Il lorazepam è benzodiazepina (BDZ) che si lega alle proteine del plasma materno per l’80%, con scarso passaggio e concentrazione nel latte e basso rapporto fra le concentrazioni del latte e del plasma (M/P 0,15–0,26). La biodisponibilità orale è completa. La RID è di 2,6–8,5%3,4, quindi sufficientemente bassa da rassicurare. Il lorazepam è una BDZ a emivita intermedia (12 h), che può teoricamente accumularsi col passar del tempo nel lattante. Agli usuali dosaggi tuttavia non sono descritti in letteratura effetti collaterali (in particolare sedazione) da esposizione attraverso il latte materno, come invece risulta per il diazepam a lunga emivita
(43 h), controindicato in allattamento.3

Quale età

per il rischio lattazionale?

Il rischio di effetti collaterali dipende sostanzialmente dalla capacità del bambino di metabolizzazione la quota di farmaco a cui è esposto. Questa capacità è comprensibilmente ridotta nei pretermine e nel piccolo lattante. Nei primi 2 mesi di vita si concentrano infatti l’80% circa delle segnalazioni di effetti collaterali sia in base alla revisione della letteratura condotta da Anderson6 sia per lo studio pluridecennale di sorveglianza francese di Soussan.7 Questi dati stanno ad indicare che il rischio collegato all’uso di farmaci in corso di allattamento perde di importanza dal 3° mese di vita in poi, a maggior ragione quando ad un certo punto il bambino non sia più allattato in maniera esclusiva.




La consulenza alla donna

Non è possibile né utile stilare delle liste di farmaci secondo varie categorie di rischio in corso di allattamento. La valutazione deve infatti essere aggiornata (l’accesso a LactMed risponde a questa esigenza) e individualizzata, anche in base al desiderio ed alla motivazione ad allattare espressa dalla donna durante il colloquio. Quando la valutazione del rischio lattazionale sia favorevole all’allattamento, come nel caso di Elisa, daremo rassicurazioni, ma non potremo dare le garanzie assolute che talune donne si aspettano. Dire che il farmaco non passa nel latte o che non capiteranno assolutamente effetti collaterali non è sempre possibile. Nel nostro caso si darà l’informazione che lorazepam e paroxetina sono entrambi sicuri, ma allo stesso tempo si ricorderà di prestare attenzione all’eventuale comparsa di disturbi come pianto inconsolabile, sonnolenza e difficoltà alimentari. Se i foglietti illustrativi dei farmaci controindicano l’allattamento e sono quindi in contraddizione con quanto in scienza e coscienza comunichiamo alla mamma, dovremo chiarire i motivi di questa discrepanza. Si suggerirà infine di assumere i farmaci subito dopo la poppata al seno per consentire una metabolizzazione del farmaco da parte della mamma, prima della poppata successiva. Alcune madri possono essere preoccupate del passaggio nel latte di quantità anche piccole di farmaci ad azione sul sistema nervoso centrale per i possibili effetti a lungo termine. Per i farmaci antiepilettici è stato in realtà dimostrato che allattare al seno migliora l’outcome neuroevolutivo dei bambini rispetto all’allattare artificialmente.8 In altri termini sembra, allo stato attuale dell’arte, di poter dire che l’eventuale difetto neuroevolutivo da esposizione al farmaco è più che compensato dal positivo effetto a livello neuromotorio e cognitivo della nutrizione con latte materno. Risultati simili si possono prevedere, anche se non ancora dimostrato, per altre categorie di farmaci neurotropi come gli antidepressivi e le benzodiazepine. Sulla base del consiglio di altri specialisti da cui sono seguite (il neurologo, per esempio), alcune madri possono sviluppare la falsa convinzione che un certo farmaco è controindicato in corso di allattamento e decidere di non allattare. In questo caso rispetteremo la scelta fatta, ma dovremo comunque, se interpellati, dare un’informazione scientificamente corretta. La consulenza potrà quindi anche essere in contrasto con l’opinione dello specialista. È del resto importante che la consulenza non abbia effetti diseducativi, nel momento in cui si assecondino false controindicazioni ad allattare, indicate da terzi. Starà alla sensibilità e correttezza deontologica del pediatra trovare la forma idonea per comunicarlo alla madre e magari direttamente allo specialista.




Difficoltà e successo

con l’allattamento al seno

Se una donna con depressione e/o ansia opta per l’allattamento è prevedibile, anche se non scontato, che abbia bisogno di un aiuto ed incoraggiamento speciali con l’avvio dell’allattamento. Non solo in queste donne la montata lattea può ritardare, ma il loro frequente difetto d’autostima e la scarsa tolleranza alla carenza di sonno a seguito di ripetute poppate al seno, rappresentano dei concreti ostacoli al successo dell’allattamento. Aiutare queste donne ad allattare può rappresentare una sfida, ma è un obiettivo importante per il prezioso empowerment collegato al successo dell’allattamento ●

Gli autori dichiarano di non avere
nessun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. Davanzo R, Bua J, De Cunto A, Farina ML, De Ponti F, Clavenna A, Mandrella S, Sagone A, Clementi M. Advising Mothers on the Use of Medications during Breastfeeding: A Need for a Positive Attitude. J Hum Lact 2015;pii: 0890334415595513

2. Farmaci nella donna che allatta al seno: un approccio senza pregiudizi. Ministero della Salute 2014. http://goo.gl/8R1jKh

3. Hale TW, Rowe HE. Medications and mothers’milk.
16th edition. Plano: Hale’s Publishing, 2014.

4. LactMed http://goo.gl/HUfSxZ

5. Pinheiro E, Bogen DL, Hoxha D, Ciolino JD, Wisner KL. Sertraline and breastfeeding: review and meta-analysis.
Arch Womens Ment Health 2015;18(2):139-46 doi:
10.1007/s00737-015-0499-y

6. Anderson P et al. A review of adverse reactions from medications in breastmilk. Clin Pediatr (Phila) 2015; pii: 0009922815594586.

7. Soussan C et al. Drug-induced adverse reactions via breastfeeding: a descriptive study in the French pharmacovigilance database. Eur J Clin Pharmacol 2014;70:1361-1366.

8. Meador KJ, Baker GA, Browning N et al. Neurodevelopmental effects of antiepileptic drugs (NEAD) Study Group. Breastfeeding in children of women taking antiepileptic drug: cognitive outcome at age 6 years. JAMA Pediatr 2014;168: 729-736.