Raccomandazioni per la diagnosi precoce

della displasia evolutiva dell’anca

Documento di consenso intersocietario del Gruppo di lavoro
sulla displasia evolutiva dell’anca (DEA).

 

Rino Agostiniani (coordinatore), Giuseppe Atti1 (referente SIP),
Salvatore Bonforte
1,
Carolina Casini
1,
Marco Cirillo
3,
Maurizio De Pellegrin
2 (referente SITOP),
Daniela Dibello
2,
Francesco Esposito
3,
Ambra Galla
2,
Giorgio Marrè Brunenghi
2, Nicola Romeo1,
Paolo Tomà
3 (referente SIRM),
Norberto Vezzali
3

 

1 Società Italiana di Pediatria (SIP),
2 Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica (SITOP),
3 Società Italiana di Radiologia Medica, Sezione Pediatrica (SIRM).

 

La malattia

La displasia evolutiva dell’anca (Dea) è la più frequente patologia congenita dell’apparato muscolo-scheletrico del neonato. La malattia comprende quadri che variano da un semplice appiattimento della cavità acetabolare fino alla completa dislocazione della testa femorale. Non curata, la Dea può causare artrosi precoce dell’anca1 e, nelle forme più gravi, la comparsa di zoppia con gravi limitazioni funzionali già all’inizio della deambulazione del bambino.

 

Epidemiologia della DEA

L’analisi della letteratura non consente una precisa definizione della epidemiologia della Dea per i seguenti motivi:

· l’inquadramento e la definizione della malattia sono cambiati nel tempo, in rapporto alle metodiche diagnostiche utilizzate;

· gli strumenti disponibili per la diagnosi sono caratterizzati da una diversa accuratezza (esame radiografico, clinico, ecografico);

· la prevalenza della Dea varia in funzione dell’età dei bambini al momento dell’esecuzione dello stu-dio e della etnia di appartenenza.

In passato, l’incidenza delle forme gravi della malattia (lussazione completa della testa femorale), in assenza di comportamenti finalizzati ad una diagnosi precoce, era riferita uguale allo 0,13% di tutti i nati. La reale frequenza della Dea è certamente superiore a questo valore, poiché la malattia non comprende solo le lussazioni complete, ma anche quadri clinici meno gravi, caratterizzati da una displasia dell’acetabolo con testa femorale ancora in sede, potenzialmente responsabili di una coxartrosi precoce; queste situazioni, rilevabili all’esame ecografico, sono presenti nel 1,6% della popolazione generale.

 

 

Storia naturale della DEA

Per assicurare un regolare sviluppo dell’anca del bambino, la testa del femore deve essere posizionata in modo stabile e perfettamente congruente all’interno della cavità acetabolare. I bambini che presentano una lussazione completa della testa femorale, non curati, manterranno le anche dislocate e presenteranno una zoppia all’inizio della deambulazione. L’evoluzione spontanea delle forme meno gravi di Dea non è stata ancora completamente definita per l’oggettiva difficoltà etica di realizzare trial clinici randomizzati metodologicamente corretti che prevedano il confronto fra il gruppo dei “trattati” con quello dei “non trattati”. Sono tuttavia disponibili in letteratura studi osservazionali retrospettivi che dimostrano come la Dea, se non individuata e curata tempestivamente, comporti un rischio aumentato di interventi chirurgici correttivi e di protesizzazione dell’anca.

I segni clinici rilevabili nei primi mesi di vita possono col tempo negativizzarsi, permanendo, comunque, quadri morfologici patologici a livello dell’acetabolo. Secondo Furnes et al.2 il mancato trattamento di queste situazioni contribuisce al 29% delle artroprotesi eseguite sotto i 60 anni di età.

 

 

Importanza della diagnosi precoce della DEA

La diagnosi precoce, fondamentale per un trattamento tempestivo, è il presupposto essenziale per ottenere i migliori risultati terapeutici e ridurre la possibilità di artrosi dell’anca nei giovani adulti. L’efficacia della terapia è massima quando le cure iniziano precocemente, entro il primo mese o, se possibile, fin dai primi giorni di vita; in presenza di lussazione dell’anca alla nascita, le alterazioni anatomiche secondarie alla dislocazione della testa femorale non sono ancora consolidate, mentre possono esserlo quando la terapia inizia tardivamente, dopo il secondo-terzo mese di vita del bambino, rendendo il riposizionamento della testa femorale all’interno della cavità acetabolare molto più problematico e talvolta impossibile per via incruenta. Inoltre, ogni minima alterazione residua dell’acetabolo, più probabile in un trattamento tardivo, può condurre in età adulta ad una artrosi dell’anca.

Gli studi che hanno cercato di individuare l’età entro la quale il potenziale di crescita acetabolare, e quindi di guarigione di una displasia, risulti ancora elevato hanno identificato la sesta settimana di vita come limite ideale entro il quale giungere alla diagnosi e iniziare il trattamento;3 oltre tale età si riducono le garanzie per una completa normalizzazione dell’acetabolo in risposta alla terapia.

Anche per quanto riguarda l’incidenza della complicanza più temuta nel trattamento della Dea, la necrosi cefalica avascolare, la precocità di intervento riveste un ruolo essenziale. Bradley, nei pazienti trattati mediante riduzione incruenta e apparecchio gessato, riporta un’incidenza media della necrosi avascolare del 10%, con una frequenza dei casi progressivamente più alta in rapporto all’età di inizio della terapia.4

 

Diagnosi della dea

Gli esami a disposizione per la diagnosi della Dea sono: l’esame clinico, l’esame ecografico e l’esame radiografico.

 

Esame clinico

L’esame clinico delle anche, alla nascita e nel primo mese di vita, continua ad avere un ruolo fondamentale per la diagnosi della Dea, in particolare nelle forme gravi della malattia.

Il corretto esame clinico delle anche prevede che vengano valutate: la postura spontanea del bambino, un’eventuale eterometria degli arti inferiori ed in particolare delle cosce (segno di Galeazzi), una possibile asimmetria del profilo laterale del bacino, la presenza di una diminuita escursione articolare in abduzione delle cosce (reperto poco specifico, in quanto presente anche in bambini normali che hanno mantenuto a lungo posture intrauterine con arti inferiori in adduzione). Solo dopo avere eseguito le valutazioni sopra elencate l’esaminatore eseguirà la manovra di Ortolani e, successivamente, quella di Barlow. Quando la testa femorale è completamente e stabilmente dislocata al di fuori dell’acetabolo, si possono creare condizioni anatomiche che impediscono la riduzione con la semplice manovra di Ortolani; in questi casi non si apprezzerà il “segno dello scatto”, ma solo un’importante limitazione dell’abduzione delle cosce. Gli scrosci articolari, o “click” o “scricchiolii”, non devono essere considerati reperti patologici.

 

Esame ecografico

L’introduzione degli ultrasuoni per lo studio delle patologie dell’anca infantile rappresenta certamente la novità più importante per la diagnosi della Dea degli ultimi 30 anni. L’esame ecografico permette di visualizzare con precisione tutte le componenti, mineralizzate e non, dell’anca infantile e di riconoscere ogni alterazione dell’articolazione coxo-femorale fin dai primi giorni di vita.

Le principali tecniche proposte per lo studio ecografico dell’anca sono:

1) tecnica di Graf: utilizzata inizialmente nei paesi di lingua tedesca e in Italia, ma attualmente diffusa in tutto il mondo. Questa metodica di studio è di rapida esecuzione, ben standardizzata, consente di individuare con precisione e dettaglio la morfologia di tutte le componenti dell’articolazione e, attraverso la misurazione angolare della componente ossea e cartilaginea dell’acetabolo, di classificare i quadri normali e quelli patologici secondo criteri di progressiva gravità;

2) tecnica di Harcke: valuta con differenti scansioni, longitudinali e coronali, con coscia estesa e flessa a 90° sul bacino, la stabilità della testa femorale in condizioni di riposo e sotto stress (metodica utilizzata principalmente in USA);

3) tecnica di Morin-Terjesen: basata sul calcolo della percentuale di copertura ossea della testa femorale (utilizzata prevalentemente nei paesi scandinavi).

Indipendentemente dalla tecnica utilizzata, un problema rilevante è quello relativo alla formazione degli ecografisti e alla verifica periodica delle loro competenze.

Tutte le metodiche devono essere eseguite seguendo scrupolosamente le indicazioni degli autori. Gli errori diagnostici possono essere evitati con la stretta adesione alla tecnica utilizzata; l’accuratezza dell’esame, soprattutto per quanto riguarda la specificità, è strettamente legata alle capacità tecniche dell’operatore. Solo operatori adeguatamente preparati e certificati dovrebbero eseguire l’esame ecografico nelle anche nei bambini;5 dal punto di vista medico-legale, secondo la normativa vigente nel nostro paese, l’ecografia dell’anca è da considerarsi un “atto medico”, configurandosi quindi una assunzione di responsabilità professionale (in termini di perizia, prudenza e diligenza) da parte dell’esecutore.

 

Esame radiologico

La radiografia del bacino mantiene ancora oggi un ruolo nella diagnosi della Dea. La metodica, tuttavia, si dimostra utile solo a partire dal 3°-4° mese di vita del bambino, quando le strutture scheletriche raggiungono un grado sufficiente di mineralizzazione per essere visualizzate dai raggi X. I rischi legati alla radio-esposizione e le informazioni modeste che l’esame fornisce nei primi 3-4 mesi di vita hanno reso questo strumento diagnostico non più proponibile come test di screening per la Dea. La radiografia del bacino può, e deve, essere utilizzata come indagine diagnostica di secondo livello per confermare un sospetto clinico o ecografico di Dea, per il follow-up della malattia, per documentare la completa guarigione delle forme più gravi e per controllare l’eventuale comparsa di complicanze.

 

Confronto fra i risultati dell’esame clinico e quelli dell’esame ecografico

Gli studi che hanno confrontato i risultati dell’esame clinico con quello ecografico hanno dimostrato che gli ultrasuoni sono dotati di maggiore “sensibilità” per individuare tutti i bambini affetti da Dea. La concordanza fra esame clinico ed ecografico è buona per i quadri gravi di Dea (anche con classificazione ecografica secondo Graf di tipo III e IV), ma insoddisfacente per quelli meno gravi (anche con classificazione ecografica secondo Graf di tipo IIc, D, IIb ).

 

 

Screening della DEA

La necessità di eseguire uno screening della Dea, finalizzato ad una diagnosi precoce, è oggi ampiamente condivisa; rimangono dibattuti i seguenti punti:

· test diagnostici da utilizzare e modalità di registrazione dei dati;

· tempi di esecuzione dello screening;

· opportunità di eseguire, in caso di screening ecografico, un programma “universale” (rivolto a tutti i nati) o “selettivo” (riservato ai bambini con fattori di rischio).

In passato, lo screening radiografico del bacino all’età di 4-6 mesi è stata una strategia consigliata e attuata su indicazioni delle autorità sanitarie, in particolare nelle regioni endemiche per la Dea, come la Brianza e l’Emilia-Romagna. La necessità di ridurre la radio-esposizione, pur mantenendo alta l’attenzione verso questa patologia, vide nell’individuazione di un segno clinico che la facesse sospettare, un notevole progresso. Per molti anni lo screening per la diagnosi “precoce” della Dea è stato condotto in numerose parti del mondo utilizzando la manovra di Ortolani, associata successivamente a quella di Barlow.

Molte pubblicazioni, nel corso degli anni, hanno segnalato i limiti dello screening clinico.6 Se infatti è vero che in presenza di un segno di Ortolani positivo l’esame strumentale ecografico documenta sempre la presenza di una Dea, è altrettanto vero che l’assenza del segno di Ortolani non rappresenta una garanzia assoluta di assenza della malattia. Va inoltre sottolineato che la negativizzazione del segno clinico non rappresenta sempre la normalizzazione di un’anca instabile, ma talvolta il peggioramento del quadro morfologico, fino all’irriducibilità della lussazione.

Dati indiretti che lo screening clinico non ha consentito di individuare precocemente tutte le forme di Dea e di mettere in atto un trattamento efficace sono estraibili da:

· Registro Regionale di Implantologia Protesica Ortopedica della regione Emilia-Romagna (RIPO): la Dea rappresenta la seconda causa di artroprotesi, con un’incidenza del 10,9% fra il 2000 e il 2011; l’incidenza sale al 31,1% nei pazienti operati al di sotto dei 40 anni di età;

· The Norwegian Arthroplasty Register:1 tra il 1987 e il 2007, 163 dei 713 pazienti trattati sotto i 40 anni di età mediante artroprotesi d’anca, erano affetti da Dea; di questi giovani adulti 82% erano femmine e 18% maschi e l’età media al momento della diagnosi era di 4,4 anni nelle prime e 22 anni nei secondi.

Questi dati fanno pensare che, nonostante il paese scandinavo e l’Emilia-Romagna siano sempre stati consapevoli dell’importanza della malattia e favorevoli all’esecuzione dell’esame clinico come strumento di screening della Dea, il problema della mancata, o tardiva, diagnosi non abbia trovato piena soluzione e che la patologia rappresenti ancora un problema sanitario significativo.

L’esame ecografico delle anche, introdotto alla fine degli anni ’80, ha rappresentato un grande progresso tecnologico, inizialmente come utile strumento per una diagnosi più accurata, quindi assumendo il possibile ruolo di test di screening della Dea.

Nei primi 10 anni del 2000 la maggior parte dei lavori pubblicati sullo screening ecografico della Dea ha fornito l’indicazione per un programma “selettivo” (esame clinico a tutti neonati ed esame ecografico solo ai pazienti con fattori di rischio clinico od anamnestico).7

I dati emersi da lavori più recenti degli ultimi 10 anni evidenziano come i programmi che prevedono uno screening ecografico “selettivo” non abbiano modificato in modo significativo il numero delle diagnosi tardive della malattia ed il numero dei bambini che hanno dovuto ricorrere a terapie chirurgiche. Nei pazienti senza fattori di rischio che sfuggono allo screening selettivo la diagnosi di Dea è tardiva e questo comporta una maggiore incidenza di complicanze. Interessante è il dato di una revisione di Sink et al.8 che ha esaminato i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico quale esito di un trattamento tardivo della displasia: 85,3% di questi non rientrava nei criteri di inclusione dello screening selettivo, cioè non presentavano alcun fattore di rischio. Broadhurst et al.9 riferiscono come non vi sia stata nel Regno Unito una diminuzione delle diagnosi tardive di Dea dall’introduzione dello screening ecografico selettivo; nell’interpretazione degli autori questo dato è spiegato dal fatto che molti dei bambini con diagnosi tardiva non avevano fattori di rischio alla nascita e per questo motivo erano sfuggiti allo screening ecografico selettivo. I risultati di questi lavori indicano come uno screening ecografico selettivo, rivolto ai soli pazienti con fattori di rischio, sia destinato a fallire per l’incapacità di individuare la categoria di bambini affetti da Dea, ma privi di fattori di rischio clinico e/o anamnestico. Per contro, i risultati ottenuti nei paesi che hanno introdotto un programma di screening ecografico “universale” dimostrano una significativa riduzione delle diagnosi tardive e del numero di bambini sottoposti a terapie di tipo interventistico. Biedermann et al.10 riporta i risultati di uno screening ecografico universale condotto in Austria evidenziando come la diagnosi precoce abbia consentito di ridurre in maniera significativa sia gli interventi chirurgici a cielo aperto di riduzione della testa femorale all’interno della cavità acetabolare (0,04 per mille nati vivi), sia gli interventi di riduzione a cielo chiuso (0,86 per mille nati vivi). L’applicazione, in alcuni paesi, della metodica ecografica quale strumento di screening universale dei nuovi nati ha sollevato il problema della percentuale più elevata di diagnosi “ecografica” di displasia rispetto alla diagnosi “clinica”. In realtà, se questo dubbio poteva sorgere nei primi periodi di applicazione della metodica, i dati riportati negli anni successivi hanno ridimensionato il problema, in particolare il timore di un’eventuale “superiore incidenza di anche trattate”.

Il progresso tecnologico delle apparecchiature, unito al miglioramento delle conoscenze derivanti dall’esperienza di screening, ha infatti consentito di affinare la valutazione della Dea. Nei paesi dove è stato messo in atto uno screening ecografico universale la percentuale di bambini trattati per Dea è diminuita rispetto al periodo antecedente in cui lo screening veniva condotto unicamente mediante l’esame clinico. Per quanto riguarda i costi economici associati ai differenti programmi di screening della Dea è stato dimostrato che lo screening ecografico universale garantisce una significativa riduzione dei costi sanitari legati ai trattamenti più invasivi e di tipo chirurgico; sommando queste spese a quelle necessarie per organizzare un programma di screening ecografico universale i costi economici complessivi dei diversi programmi di screening risultano sovrapponibili, con un diverso risultato, però, in termini di tutela della salute della popolazione.

 

Raccolta
e archiviazione dei dati

Indipendentemente dalla tecnica utilizzata, ogni serio programma di screening della Dea deve prevedere la raccolta sistematica ed informatizzata dei dati relativi ai risultati dell’intervento sanitario messo in atto.

La creazione di un registro regionale informatizzato per la raccolta dei dati dello screening e dei ricoveri con Drg correlati alla terapia della Dea rappresenta uno strumento essenziale per verificare i risultati del programma di prevenzione degli esiti della malattia.

Solo attraverso l’analisi dei dati sarà possibile valutare l’efficacia del programma, sia in termini di tutela della salute che dei costi, per il singolo e per la comunità.

 

 

Sintesi delle raccomandazioni

· Tutti i neonati devono essere sottoposti ad un esame clinico delle anche da parte del neonatologo o del pediatra alla nascita; l’esame deve essere opportunamente registrato.

· L’esame clinico delle anche deve essere ripetuto in occasione dei bilanci di salute dei primi sei mesi di vita da parte del pediatra di famiglia e opportunamente registrato.

· Tutti i neonati che presentano all’esame clinico il “segno dello scatto” devono essere sottoposti ad un esame ecografico delle anche prima della dimissione dal punto nascita, o comunque entro la prima settimana di vita; l’esame deve essere opportunamente registrato.

· Tutti i nati, indipendentemente dalla presenza di fattori di rischio, devono essere inseriti in un programma di screening della Dea che preveda l’esecuzione di un esame ecografico delle anche tra le 4 e le 6 settimane di vita da parte di operatori certificati e la creazione di un registro regionale informatizzato per la raccolta dei dati dello screening e dei ricoveri con Drg correlati alla terapia della Dea.

· I servizi sanitari devono identificare un percorso di screening e di presa in carico a livello locale, condiviso tra pediatra, ortopedico e radiologo, per tutte le situazioni con esame ecografico positivo per displasia; per esame positivo per displasia si intende un quadro ecografico di tipo IIb, IIc, D, III, IV (secondo la classificazione di Graf); le anche di tipo IIa devono essere monitorate ecograficamente e trattate solo in assenza di segni di un’adeguata maturazione.

· I servizi sanitari, con la collaborazione delle società scientifiche, devono: identificare i centri idonei alla effettuazione dello screening, realizzare programmi formativi specifici per l’apprendimento dell’esame clinico ed ecografico delle anche, prevedere modalità di certificazione degli operatori dedicati all’esame ecografico e sistemi di verifica della qualità delle prestazioni erogate

 

Gli autori dichiarano di non avere
alcun conflitto di interesse.

 

 

Bibliografia

1. Engesæter IØ, Lehmann T, Laborie LB, Lie SA, Rosendahl K, Engesæter LB. Total hip replacement in young adults with hip dysplasia: age at diagnosis, previous treatment, quality of life, and validation of diagnoses reported to the Norwegian Arthroplasty Register between 1987 and 2007. Acta Orthop 2011;82:149-54,

2. Furnes O, Lie SA, Espehaug B, Vollset SE, Engesaeter LB, Havelin LI. Hip disease and the prognosis of total hip replacements. A review of 53,698 primary total hip replacements reported to the Norwegian Arthroplasty Register 1987-99. J Bone Joint Surg Br 2000;83:579-86.

3. De Pellegrin M, Bonifacini C. Is the acetabular maturation in severe DDH influenced by treatment at an early age? OUP 2016;7/8:408-12.

4. Bradley CS, Perry DC, Wedge JH, Murnaghan ML, Kelley SP. Avascular necrosis following closed reduction for treatment of developmental dysplasia of the hip: a systematic review. J Child Orthop 2016;10:627-32.

5. Graf R. Hip sonography: background; technique and common mistakes; result; debate and politics; challenges. Hip Int 2017;27:215-19.

6. Mahan St, Katz JN, Kim YJ. To screen or not to screen? A decision analysis of the utility of screening for developmental dysplasia of the hip. J Bone Surg Am 2009;91:1705-19.

7. Rosendahl K, Toma P. Ultrasound in the diagnosis of developmental dysplasia of the hip in newborns. The European approach. A review of methods, accuracy and clinical validity. Eur Radiol 2007;17:1960-7.

8. Sink EL, Ricciardi BF, Torre KD, Price C. Selective ultrasound screening is inadequate to identify patients who present with symptomatic adult acetabular dysplasia. J Child Orthop 2014;8:451-5.

9. Broadhurst C, Rhodes AML, Harper P, Perry DC, Clarke NMP, Aarvold A. What is the incidence of late detection of developmental dysplasia of the hip in England? Bone Joint J 2019;101-B:281-7.

10. Biedermann R, Eastwood D. Universal or selective ultrasound screening for developmental dysplasia of the hip? A discussion of the key isues. J Child Orthop 2018;12:296-301.