Esame emocromocitometrico

Uno degli esami più richiesti, semplice e poco costoso,
utile a fornire preziose informazioni di salute.
Eppure si tende a non leggerlo.

Bruno Nobili,

Sofia MR Matarese,

Francesca Rossi

Dipartimento della Donna, del Bambino

e di Chirurgia generale e specialistica

Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”




L’esame emocromocitometrico è uno degli esami di laboratorio maggiormente richiesto nella pratica clinica; è un esame semplice, poco costoso, fonte di preziose informazioni sullo stato di salute di un paziente. Mediante questo semplice esame possiamo conoscere la quantità delle cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e numerosi altri parametri che caratterizzano qualitativamente i diversi elementi corpuscolati. Nonostante sia l’esame di laboratorio più richiesto, l’esame emocromocitometrico probabilmente è il “meno letto”.

I moderni contaglobuli forniscono un numero sempre maggiore di nuovi parametri la cui corretta interpretazione è di notevole aiuto nella diagnostica ematologica di base; è importante quindi orientarsi bene fra i tanti numeri e le sigle, individuando una quantità non eccessiva di parametri informativi per il sospetto diagnostico.

Una corretta interpretazione del-l’esame emocromocitometrico deve tener conto delle variazioni proprie dei parametri ematologici nei vari periodi dell’età pediatrica, dal neonato all’adolescente (Tabella 1).

Fino ai primi anni ’60 il conteggio e la descrizione delle cellule del sangue erano effettuati manualmente mediante camere calibrate, lettura spettrofotometrica dell’emoglobina, valutazione morfologica su striscio colorato; dai dati così ottenuti, mediante formule matematiche erano ricavati gli indici eritrocitari (Indici di Wintrobe), mentre la differenzazione e conta delle diverse popolazioni leucocitarie erano appannaggio della microscopia; produrre un emocromo completo non era certamente cosa rapida. L’avvento dei contaglobuli elettronici ha ridotto tutte queste operazioni a pochi secondi, ma questo non è l’unico vantaggio che l’automatizzazione ha portato; in realtà il poter esaminare migliaia di elementi e tradurre alcune loro caratteristiche in segnali “oggettivi” hanno moltiplicato le informazioni utili il cui significato è ancora oggi poco conosciuto e il loro valore diagnostico sottovalutato.

Parametri eritrocitari

I globuli rossi (GR) sono definiti da parametri quantitativi e qualitativi.

I parametri quantitativi esprimono il numero di globuli rossi per unità di volume, il loro valore percentuale (ematocrito) e la concentrazione dell’emoglobina (un valore di emoglobina < 2DS per sesso ed età configura una condizione anemica) (vedi tabella).

I parametri qualitativi sono rappresentati dai classici indici di Wintrobe (volume corpuscolare medio, MCV; emoglobina corpuscolare media, MCH; concentrazione emoglobinica corpuscolare media, MCHC); dalle curve di distribuzione volumetrica degli eritrociti (Red Cell Distribution Width, RDW; Hemoglobin Distribution Width, HDV) e dal citogramma volume/concentrazione dell’emoglobina.




MCV: (fl) HT x 1.000/gr

Ben radicato nella cultura diagnostica, rappresenta il volume medio dei globuli rossi ed è indice di micro, normo e macrocitosi, costituendo un importante parametro nella classificazione delle anemie. Le anemie infatti possono essere classificate in rapporto alla loro fisiopatologia (iporigenerative, emolitiche, da perdita), al contenuto di emoglobina dei globuli rossi (normo, ipo, ipercromiche), ma la classificazione maggiormente utilizzata è quella che consente proprio in rapporto all’MCV, di distinguerle in microcitiche, normocitiche e macrocitiche.

L’MCV espresso in femtonlitri (fl pari a 10-15) deve essere valutato in rapporto alle varie età; il valore normale è compreso fra il 3° (-2DS) ed il 97°(+2DS) percentile (vedi tabella).

mch: (fl) hb x 1.000/gr

Rappresenta il contenuto emoglobinico medio dei GR ed è meno utilizzato dell’MCV nella diagnostica ematologica.

mchc: (g/dl) hb x 1.000/ht

Esprime la misura della concentrazione emoglobinica corpuscolare media ed è utilizzato quasi esclusivamente nella diagnostica della anemie emolitiche, in particolare nella sferocitosi in cui risulta ai limiti alti della norma o quasi sempre al di sopra della stessa.

RDW: misura l’ampiezza della curva di distribuzione volumetrica dei GR.

Espresso come RDW-DS(fl) rap-presenta la deviazione standard della distribuzione dei volumi di una popolazione eritrocitaria (indice di anisocitosi assoluta); espresso come RDW-CV (%) rappresenta il coefficiente di variazione della popolazione dei globuli rossi rispetto al valore medio (indice di anisocitosi relativa). Utile nella diagnostica differenziale fra una condizione microcitemica legata alla carenza marziale (RDW aumentato) e quella legata allo stato di portatore di beta-tal eterozigote (RDW normale o leggermente aumentato); anche una reticolocitosi solitamente si associa ad un aumento dell’RDW.

HDW: misura l’ampiezza di distribuzione della concentrazione emoglobinica corpuscolare media ed è indice di anisocromia.

citogramma eritrocitario di volume e concentrazione emoglobinica

Fornisce una visione di insieme della popolazione eritrocitaria e permette di individuare e quantificare le diverse sottopolazioni; evidenzia doppie e triple popolazioni, agglutinati eritrocitari, anomalie di distribuzione (Figura 1).




Reticolociti

Sono eritrociti giovani appena immessi nel circolo che conservano per 24-48 ore residui di organuli citoplasmatici di derivazione ribosomiale; questi ultimi precipitano per effetto dei coloranti sopravitali (blu cresile brillante, blu di metilene) formando un reticolo che è alla base della loro denominazione (Figura 2).




Analogamente agli indici eritrocitari i contaglobuli di ultima generazione sono in grado di fornire nuove informazioni sui reticolociti calcolando i relativi indici:

MCVr (110 fl 20%>GR)

CHCM (MCHC; 20%

CH r (MCH) contenuto Hb; 26-30 pg).

Una diminuzione di CHr è espressione di una eritropoiesi ferrocarenziale recente, mentre l’MCVr rappresenta il volume corpuscolato medio, direttamente proporzionale allo stato marziale; diminuisce infatti nel caso di eritropoiesi ferro carente per aumentare rapidamente in risposta alla terapia marziale.

Altri parametri reticolocitari consentono di dividere i reticolociti totali in tre classi in rapporto al diverso contenuto ribosomiale che è inversamente proporzionale al loro grado di maturità:

LFR (Low Fluorescence Ratio) frazione di reticolociti più maturi (78%–92%); MFR (Medium Fluorescence Ratio) frazione di reticolociti con caratteristiche maturative intermedie (6%–18%) e HFR (High Fluorescence Ratio ) che rappresentano la frazione di reticolociti più immaturi (0%–4%).

L’IRF (frazione reticolociti immaturi) è un indice precoce di attività eritropoietica midollare e pertanto consente di monitorare la ripresa eritropoietica (trattamenti con rh-EPO, trapianto cellule staminali, TEC, trapianti renali, risposta a terapia con B12, folati, ferro), prima ancora che il numero totale dei reticolociti sia aumentato (Figura 3).







Il numero dei reticolociti (espresso in valore assoluto) è un indice attendibile dell’attività eritropoietica del midollo; un midollo normofunzionante è in grado di aumentare fino ad otto volte la produzione di GR e pertanto una reticolocitosi è espressione di una intensa attività eritropoietica in risposta ad una aumentata distruzione periferica o intramidollare (emolisi). Una condizione di reticolocitopenia invece è espressione di una ridotta attività midollare e quindi associata ad una anemia iporigenerativa (Figura 4).




Parametri leucocitari

I globuli bianchi (quando sedimentano in provetta formano uno strato biancastro al di sopra degli eritrociti) in rapporto alla presenza o meno di granulazioni citoplasmatiche possono essere distinti in: granulari (neutrofili, basofili, eosinofili) e non granulari (linfociti, monociti). La conta totale è espressa come 109 cell/l, deve sempre essere accompagnata dalla formula leucocitaria che esprime il rapporto quantitativo e percentuale fra le diverse popolazione di GB.

Come i GR anche i leucociti variano in rapporto all’età, sia in valore assoluto che in percentuale.

Nel neonato il numero dei globuli bianchi è molto più alto rispetto a quello delle successive età pediatriche e a quello dell’adulto; la formula leucocitaria è caratterizzata, per le prime 48 ore di vita, da una neutrofilia cui segue una linfocitosi che persiste fino al 3-4 anno di età, quando il rapporto tra neutrofili e linfociti si inverte nuovamente a favore dei neutrofili che rappresenteranno la popolazione più espressa negli anni successivi (Tabella 2).




I contaglobuli elettronici classificano come globuli bianchi tutte le cellule generanti impulsi corrispondenti ad un volume superiore a 35 fl. La differenziazione nelle cinque popolazioni leucocitarie, con l’impiego di diverse tecnologie applicate simultaneamente (forward-scatter, conduttività/opacità), è in grado di differenziare le cellule non solo per il loro volume ma anche per il loro contenuto (grandezza del nucleo, rapporto nucleo/citoplasma, presenza di granuli, quantità e volume dei granuli). La metodica quindi estremamente sofisticata permette di conoscere in tempo reale il completo assetto leucocitario.

In presenza di monociti attivati le caratteristiche fisiche e morfologiche di queste cellule non sono dissimili da quelle presentate dai blasti, per cui tali elementi sono conteggiati insieme e classificati come LUC (“large unstained cells“) ovvero cellule grandi non differenziate. Il riscontro di LUC aumentati impone sempre l’esecuzione di uno striscio periferico per una corretta identificazione di queste cellule.

Un altro parametro leucocitario che viene fornito dalle letture automatizzate è l’indice di lobularità (LI), espressione del grado di segmentazione dei neutrofili, corrispondente alla classica formula di Arneth.

Un LI basso (shift a sinistra della curva di Arneth) indica un incremento in circolo di “nuovi” neutrofili, con nucleo poco o nulla segmentato (infezione batterica, mobilizzazione di neutrofili dopo terapia con GCSF). Un LI aumentato corrisponde ad uno spostamento a destra della curva di Arneth, quindi ad un incremento in circolo di neutrofili ipersegmentati come si può osservare nell’anemia perniciosa o nell’anemia megaloblastica da deficit di acido folico e/o di vit. B12. o in caso di leucemia mieloide (Figura 5).




Una falsa leucocitosi può realizzarsi per la presenza in circolo di eritroblasti (soggetti splenectomizzati, talassemici non regolarmente trasfusi), per la presenza di aggregati piastrinici (artefatti di laboratorio senza significati clinico), per la presenza di crioglobuline, chetoacidosi diabetica (mobilizzazione di granulociti neutrofili dal pool marginato). Una falsa leucopenia invece può essere espressione di un aumento del pool marginato come nei soggetti sottoposti a dialisi o espressione di condizione idiopatica.

L’osservazione dello striscio periferico per tutte queste ragioni costituisce un momento irrinunciabile nella valutazione di un esame emocromocitometrico.




Piastrine

La conta delle piastrine viene espressa come 109 cell/l ed analogamente agli eritrociti i contaglobuli, oltre al dato quantitativo, forniscono parametri qualitativi (indici piastrinici):

MPV: volume piastrinico medio

PDW: ampiezza di distribuzione volumetrica

PcT: piastrinocrito

P-LCR: % di larghe piastrine.

L’MPV esprime la media analitica dei volumi piastrinici (non esiste un MPV normale, ma l’MPV normale per quel numero di piastrine); più rallentato è il tasso di produzione delle piastrine più basso è l’MPV. Un rallentato tasso di produzione delle piastrine infatti è associato ad una diminuizione dell’MPV, come avviene nelle piastrinopenie centrali, mentre è normale o francamente aumentato nelle forme periferiche (in rapporto alla velocità di produzione).

L’MPV è un parametro poco attendibile in presenza di una grave piastrinopenia (Figura 6).




Il PDW esprime la distribuzione volumetrica delle piastrine (anisocitosi piastrinica); un aumento del PDW è l’espressione di una grande differenza tra i volumi delle piastrine, mentre un PDW basso è dato dalla presenza di piastrine di dimensioni uniformi.

Il PcT esprime la massa piastrinica per unità di volume di sangue ed è il vero rischio reale di sanguinamento.

L’utilizzo degli indici piastrini costituisce un notevole aiuto in condizioni di piastrinopenia , in quanto è in grado di indirizzare il sospetto diagnostico.

Un MPV diminuito si riscontra in condizioni di ipersplenismo, anemia megaloblastica, in corso di chemioterapia, aplasia midollare, s. di Wiskott-Aldrich.

Un MPV e PDW aumentati sono caratteristici di piastrinopenia immune, delle malattie mieloproliferative, della s. di May-Hegglin, della s. Bernard-Soulier e dei soggetti splenectomizzati.

La piastrinosi può rappresentare una condizione primitiva o secondaria di molte patologie non solamente ematologiche.

Una forma primitiva la si può riscontrare nella trombocitemia essenziale, policitemia vera, LMC o essere secondaria a disordini infiammatori, gravi stati di carenza marziale, neoplasie.

Una falsa piastrinosi può essere espressione di una microcitemia (piastrine e microciti hanno lo stesso volume e pertanto vengono letti sullo stesso canale delle piastrine), in condizioni di emoconcentrazione o in presenza di frammenti eritrocitari.

Una piastrinopenia in presenza di un esame obiettivo negativo per manifestazioni emorragiche deve sempre far pensare alla possibilità di una falsa piastrinopenia come viene a determinarsi nella pseudopiastrinopenia EDTA-dipendente, in presenza di microaggregati piastrinici o di coaguli. La pseudopiastrinopenia EDTA-dipendente si registra in vitro ed è “tempo dipendente” e pertanto è utile ripetere il dosaggio subito dopo il prelievo o utilizzare l’eparina come anticoagulante e procedere alla lettura in camera di Burker.

La aggregazione piastrinica è un fenomeno fisiologico dovuto alla liberazione di ADP da parte delle piastrine adese fra di loro. La presenza di microaggregati è un artefatto di laboratorio senza significato clinico e la bassa conta piastrinica è dovuta al fatto che gli aggregati vengono letti come leucociti; utile anche in questo caso il cambio di anticoagulante.

PDW esprime il grado di variabilità delle dimensioni piastriniche (anisocitosi piastrinica); di conseguenza, alti valori di PDW indicano una grossa discrepanza tra i volumi piastrinici, mentre quando il PDW è basso significa che le piastrine hanno dimensioni uniformi. Alti valori di PDW si registrano in tutte le situazioni di accelerata trombopoiesi per la produzione di piastrine giovani (> MPV) rispetto a quelle anziane presente in circolo (sindromi mieloproliferative, anemia megaloblastica, anemia refrattaria); una sua corretta lettura non può prescindere ovviamente dalla valutazione contestuale del numero totale di piastrine, dell’MPV e del PcT.

Una corretta lettura dell’esame emocromocitometrico presuppone:

conoscenza dell’esatto significato dei parametri e delle sigle offerti dai moderni conta globuli;

confronto del dato numerico con i valori normali per sesso ed età;

valutazione del coinvolgimento di una o più linee cellulari;

consapevolezza di possibili “falsi” e necessità di dirimere i dubbi con l’ausilio il morfologo; molto spesso l’osservazione dello striscio periferico permette di confermare o contraddire i “numeri” forniti dal conta globuli;

non dimenticare che il punto di partenza per una corretta diagnosi è sempre il paziente con la sua storia e la sua clinica.

I punti di contatto fra i numeri forniti dai moderni contaglobuli e lo studio morfologico delle cellule permettono una completa diagnostica che libera “il morfologo dalla ripetitività della routine, integrando i dati forniti dalle misurazioni automatiche con le qualità della memoria, della intuizione e della fantasia”

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

Bibliografia

D’Onofrio G, Zini G. Morfologia delle malattie del sangue. Roma: Verduci Editore, 1997.

Burgio G, Martini A, Nespoli L, Notarangelo L. Pediatria essenziale. 5 edizione. Milano: Edi Ermes, 2012.

Natham DG, Stuart HO, Ginsburg D, Look AT. Nathan and Oski’s hematology of infancy and childhood. 8th edition. Philadelphia: Saunders, 2008.

Stanton BF. Nelson Textbook of Pediatrics. 19th edition. Amsterdam: Elsevier 2011.

Lee Gr, Bithell TC, Foerster J, et al. Wintrobe’s Clinical Hematology. 9th edition. Philadelphia-London: Lea & Febiger, 1993.

JP Greer, Arber DA. Wintrobe’s Clinical Hematology. 13th edition. Philadelphia, Pennsylvania: Lippincott Williams & Wilkins, 2013.