La gestione terapeutica dell’osteomielite acuta ematogena non complicata
in età pediatrica: una consensus italiana

La forma acuta ematogena non complicata è quella di osteomielite
più comunemente riscontrata in età pediatrica.
Un panel di esperti ha elaborato una consensus italiana per la gestione della terapia.

Andrzej Krzysztofiak1, Elena Chiappini2, Livia Gargiullo1, Elena Bozzola1,
Elisabetta Venturini2, Davide Vecchio 1,
Sara Chiurchiù1, Elio Castagnola3,
Paolo Tomà1, Gian Maria Rossolini4,
Renato Maria Toniolo1, Susanna Esposito5, Marco Roversi1, Marco Cirillo1,
Fabio Cardinale6, Andrea Novelli7,
Giovanni Beltrami2, Claudia Tagliabue8, Silvio Boero3, Daniele Deriu1,
Sonia Bianchini9, Annalisa Grandin1, Samantha Bosis8, Martina Ciarcià2,
Daniele Ciofi2, Chiara Tersigni2,
Barbara Bortone2, Giulia Trippella2, Giangiacomo Nicolini10, Andrea Lo Vecchio11, Carlotta Montagnani2,
Antonella Giannattasio12, Paola Musso13, Alessandra Ferrari14, Elena Serrano2,
Paola Marchisio8, Daniele Donà15,
Silvia Garazzino16, Luca Pierantoni17,
Teresa Mazzone18, Paola Bernaschi1,
Guido Castelli Gattinara1, Luisa Galli2, Alberto Villani1

1 Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, Roma

2 AOU Anna Meyer, Firenze

3 Ospedale Giannina Gaslini, Genova

4 AOU Careggi, Firenze

5 AOU, Parma

6 Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII, Bari

7 Università degli Studi di Firenze

8 Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

9 Ospedale San Carlo Borromeo, Perugia

10 Ospedale San Martino, Belluno

11 AOU Federico II, Napoli

12 Pediatra, Caserta

13 Università degli Studi di Pavia

14 Università degli Studi di Brescia

15 AOU degli Studi di Padova

16 Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino

17 Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna

18 Pediatra, Roma

Società Scientifiche rappresentate:
Società Italiana di Pediatria (SIP), Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (SITIP)

Introduzione

L’osteomielite (om) è un processo infettivo, acuto o cronico, del tessuto osseo. Colpisce più frequentemente i bambini in età prescolare con rapporto maschio-femmine di 2:1. Sono più comunemente interessate le ossa lunghe degli arti inferiori e le vertebre. L’eziologia è di tipo batterico nella maggioranza dei casi. La forma più comunemente riscontrata in età pediatrica è la osteomielite acuta ematogena (omae).1

I patogeni responsabili di omae sono differenti in base all’età del bambino (Tabella 1).




La presentazione clinica dell’omae è estremamente variabile e dipende da molteplici fattori tra cui: l’età, l’agente patogeno responsabile, il sito anatomico coinvolto e la presenza di una patologia sottostante; l’esordio dei sintomi è spesso insidioso, soprattutto nei neonati e nei pazienti più piccoli. Le estremità inferiori sono più frequentemente coinvolte di quelle superiori. Il coinvolgimento di un singolo segmento osseo è più frequente rispetto all’infezione multifocale.1,2

Dal punto di vista diagnostico, la misurazione degli indici di flogosi, quali conta dei globuli bianchi, velocità di eritrosedimentazione e proteina C-reattiva, può essere di aiuto sia nella fase diagnostica della omae che in corso di terapia, al fine di valutare la risposta al trattamento.2,3

La procalcitonina, a causa della sua bassa sensibilità e dell’elevato costo dell’analisi, non risulta utile nella diagnostica delle omae.2

La resa diagnostica degli esami colturali in corso di omae resta ancora oggi non ottimale e correlata all’età del bambino, alla localizzazione dell’infezione, alle tecniche utilizzate e all’esperienza laboratoristica. La coltura del materiale derivato dall’osso infetto è il gold standard diagnostico; poiché in età pediatrica la disseminazione ematogena in corso di omae è comune, l’emocoltura rappresenta uno strumento diagnostico prezioso per stabilire l’eziologia dell’infezione. Tuttavia, in una alta percentuale di bambini (30–50%), gli esami colturali non permettono di ottenere una diagnosi eziologica.1,2,4

L’utilizzo delle nuove tecniche diagnostiche, come la spettrometria di massa con maldi-tof e i test molecolari, ha permesso in alcuni casi una rapida identificazione del patogeno.2,4

L’esame di imaging di prima istanza nel sospetto di omae è la radiografia; il suo ruolo è innanzitutto quello di escludere altre possibili cause dei sintomi, come quelle di tipo traumatico o lesioni non infettive. Esso ha tuttavia una bassa sensibilità (43–75%) a fronte di una specificità (75–83%) abbastanza elevata.2,5

La risonanza magnetica (rm) rappresenta il gold standard nella diagnosi di osteomielite.

Ha un’alta sensibilità e specificità (rispettivamente 82–100% e 75–99%), potendo documentare l’edema osseo, aspecifico primo segno dell’osteomielite, già dopo 24–48 ore.

La rm whole body è inoltre sempre più utilizzata nella valutazione di multifocalità, sostituendo l’esame scintigrafico, rispetto al quale è più sensibile e non implica l’esposizione a radiazioni ionizzanti.

L’ecografia può essere utile nell’individuare il versamento articolare, gli ascessi nei tessuti molli e le raccolte sottoperiostee, reperti che possono essere associati alle osteomieliti.1,2,5

Risultati

Al fine di elaborare una consensus italiana sulla gestione terapeutica dell’osteomielite acuta ematogena non complicata in età pediatrica, è stato istituito un Panel multidisciplinare di esperti che ha preliminarmente discusso ed approvato i seguenti quesiti:

· tipo di molecola per la terapia antibiotica empirica endovenosa (ev);

· durata della terapia endovenosa;

· fattori che influenzano lo switch dalla terapia ev alla terapia per via orale (os);

· durata della terapia per os;

· durata totale della terapia.

È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura relativa al periodo 2009–2020; i criteri utilizzati per la selezione sono riportati in tabella 2.

Sono stati quindi selezionati in totale 4176 articoli, dei quali 139 sono stati accettati sulla base di titolo ed abstract; 53 articoli sono stati considerati attinenti e soddisfacenti i criteri di inclusione/esclusione stabiliti (Figura 1).




Terapia empirica endovenosa delle OMAE non complicate in età pediatrica

Dalla revisione bibliografica è emersa una eterogenea gestione della terapia antibiotica empirica delle omae.6-10

Gli antibiotici prevalentemente somministrati sono le penicilline anti-stafilococciche (oxacillina, nafcillina, cloxacillina e flucloxacillina) e le cefalosporine.

Tra queste ultime in particolare sono usate quelle di prima generazione come cefazolina, cefalotina, cefradina, e di seconda generazione come cefuroxime. Le cefalosporine di terza generazione come ceftriaxone e cefotaxime sono invece utilizzate meno frequentemente.

In merito alle penicilline anti-stafilococciche il loro uso è parzialmente ostacolato dalle formulazioni disponibili che ne riducono la compliance.10

Terapia specifica delle OMAE
non complicate in età pediatrica

Staphylococcus aureus meticillino-resistente

In occidente, negli ultimi anni la prevalenza generale di Staphylococus aureus meticillino-resistente (mrsa) è aumentata; nello specifico, i dati italiani mostrano tassi elevati ma stabili di ceppi oxacillino-resistenti: risulta fondamentale la conoscenza dei tassi di antibiotico-resistenza locali per decidere la terapia empirica delle omae. Tali dati sono spesso difficili da reperire, non omogenei e frequentemente non discriminano tra popolazione adulta e pediatrica.1,2,10

Vi è ampio dibattito sulla necessità di utilizzare empiricamente antibiotici attivi contro l’mrsa, in quanto, concordemente a quanto affermato nelle linee guida della Società Europea di Malattie Infettive Pediatriche (European Society of Pediatric Infectious Diseases, espid) pubblicate nel 2017, tali farmaci dovrebbero essere riservati ad aree con tassi di prevalenza di mrsa >10%.2

Nei casi con forte sospetto clinico di osteomielite da mrsa o se la prevalenza locale di mrsa >10%, i farmaci di prima scelta sono la clindamicina, la vancomicina e il linezolid; l’uso della daptomicina è descritto in caso di fallimento terapeutico alla prima linea.2,10

Staphylococcus aureus
produttore di leucocidina di panton-valentine

Negli ultimi anni è stato messo in evidenza il ruolo patogeno dello Staphylococcus aureus produttore di leucocidina di Panton-Valentine (pvl-sa), con una prevalenza in Italia riportata fino al 10% dei casi di omae pediatrica. La pvl è una tossina in grado di determinare lisi dei leucociti mediante formazione di pori nella membrana con conseguente possibilità di determinare quadri severi di infezioni polmonari, ossee, cutanee e dei tessuti molli.2

La terapia antibiotica del pvl-sa deve mirare ad inibire la produzione della tossina. Sono quindi indicati antibiotici inibitori della sintesi proteica come clindamicina, linezolid o rifampicina.49

Tuttavia, per le omae pediatriche non complicate attualmente non ci sono indicazioni condivise sulla somministrazione empirica di antibiotici anti-pvl.2

kingella kingae

La Kingella kingae risulta tra i patogeni più frequentemente isolati nell’età compresa tra 3 mesi e 5 anni. In letteratura sono tuttavia presenti pochi studi con una diversificazione delle classi di antibiotici utilizzati empiricamente per fasce d’età. In tali studi viene suggerito nella fascia d’età a rischio l’uso empirico di una cefalosporina, o talvolta di ampicillina/ampicillina-sulbactam, per garantire una copertura verso la Kingella kingae, risultando invece inefficaci le penicilline anti-stafilococciche, la clindamicina e i glicopeptidi.6-10

Durata e via di somministrazione della terapia antibiotica

La durata totale (endovenosa e orale) della terapia delle omae è ampiamente dibattuta in letteratura.1,2,6-10

Dalla revisione in oggetto, la durata media totale della terapia della omae non complicate è di circa 4 settimane, con un range compreso tra 3 e 6 settimane.

I principali fattori per la scelta dello switch dalla terapia endovenosa a quella per os sono ancora dibattuti in letteratura.

Le linee guida espid 2017 raccomandano di effettuare lo switch alla terapia per os dopo 2–4 giorni di terapia antibiotica endovenosa nel caso in cui il paziente presenti: miglioramento delle condizioni cliniche (apiressia o diminuzione della temperatura corporea per 24–48 ore, miglioramento della sintomatologia, mancanza di segni riferibili a complicanze), decremento del 30–50% della pcr rispetto al valore massimo raggiunto, negatività degli esami colturali e assenza di patogeni come mrsa o pvl-sa.2

Nella maggior parte degli studi la terapia per os viene effettuata con una cefalosporina ad alto dosaggio, con clindamicina, o con amoxicillina-acido clavulanico in monoterapia o in associazione a rifampicina.

I trial hanno mostrato un tasso di fallimento terapeutico dopo lo switch nullo o di circa l’1% sia in fase precoce che durante il successivo follow-up.7

Antibiotici e penetrazione ossea

La penetrazione ossea delle diverse classi di antibiotici è stata valutata con studi di farmacocinetica utilizzando differenti metodologie di procedimento e di misurazione.

Nella tabella 3 sono riportati le percentuali di penetrazione ossea dei principali antibiotici impiegati delle omae secondo i dati disponibili dalla letteratura.




Tuttavia, è da considerare che nella scelta dell’antibiotico la penetrazione ossea non è l’unico fattore determinante: i risultati di laboratorio devono essere confrontati con la concentrazione minima inibente (mic) dei batteri isolati.4

Terapia chirurgica

Secondo le ultime Linee guida espid 2017, l’approccio iniziale alle infezioni osteoarticolari deve prevedere, laddove possibile, il drenaggio di eventuale materiale purulento e la raccolta di campioni colturali volti alla identificazione di un possibile germe causativo e allo studio della suscettibilità antimicrobica.2

Ciononostante, l’approccio comune è quello di trattare l’omae con una terapia medica, poiché l’intervento conservativo è efficace nel 90% dei casi, riservando la chirurgia a quei bambini per i quali la terapia antibiotica da sola non è sufficiente per il miglioramento clinico e laboratoristico.1

Raccomandazioni del panel di esperti

Dalla revisione effettuata della letteratura sulle omae non complicate in età pediatrica emerge che i dati riguardanti l’epidemiologia, la tipologia e la durata del trattamento antibiotico sono disomogenei e discordanti a seconda delle casistiche.

Alla luce della revisione della letteratura, le indicazioni che possono essere suggerite dal Panel per la terapia empirica nelle omae non complicate, nei bambini tra i 28 giorni e i 18 anni sono le seguenti:

· l’utilizzo empirico iniziale di una penicillina o di una cefalosporina di prima o seconda generazione ev nei contesti in cui la prevalenza di ca-mrsa risulti inferiore al 10%;

· il passaggio, in caso di fallimento terapeutico (clinico e/o dei parametri laboratoristici), ad una terapia antibiotica di seconda linea, utilizzando una cefalosporina di terza generazione o una penicillina anti-mrsa;

· la possibilità, nelle forme che non presentino segni di complicanze, di effettuare dopo circa 7 giorni di terapia ev switch a terapia per os, dopo aver verificato la compliance da parte del bambino e dei familiari all’assunzione di tale terapia;

· nello switch dalla terapia ev a terapia per os, prediligere l’utilizzo come prima scelta di amoxicillina-acido clavulanico eventualmente associata alla rifampicina; tra le penicilline anti-stafilococciche favorire l’utilizzo di flucloxacillina, ben tollerata e con elevata penetrazione ossea, anche se di difficile impiego per il tipo di formulazione che ne riduce la compliance;

· il monitoraggio dei segni clinici e degli indici di flogosi dopo 48–72 ore dall’inizio della terapia ev, da ripetere al settimo giorno prima di effettuare lo switch terapeutico (evitare il passaggio alla terapia per os in caso di peggioramento dei segni clinici o degli indici di flogosi, nel qual caso modificare la terapia ev per assicurare un’efficace copertura contro patogeni resistenti);

· la possibilità di valorizzare il ruolo terapeutico di rifampicina e trimethoprim-sulfametossazolo, data la buona penetrazione nel tessuto osseo e l’ottimo rapporto costo/beneficio, raccomandando l’uso di rifampicina in 2 somministrazioni giornaliere per non indurre lo sviluppo di resistenze e garantendone sempre l’associazione con un altro antibiotico;

· la cautela nell’uso della clindamicina per la alta percentuale di resistenza in Italia (>25%), per il tipo di formulazione in capsule e per i frequenti effetti collaterali gastrointestinali che causano problemi di compliance nell’assunzione;

· l’interruzione della terapia per os dopo 3–5 settimane dallo switch se non vi è insorgenza di complicanze;

· la necessità di impostare un programma di stretto follow-up clinico, laboratoristico e strumentale durante la somministrazione della terapia orale e nelle settimane successive alla completa sospensione della terapia possibilmente avvalendosi di un team multidisciplinare composto da pediatra, infettivologo, radiologo e ortopedico.

· al momento non vi sono evidenze sufficienti per differenziare la terapia antibiotica empirica nelle diverse fasce di età, pertanto è raccomandata l’identificazione della Kingella kingae tramite l’utilizzo della pcr, soprattutto nella fascia d’età tra 3 mesi e 5 anni

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

Bibliografia

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