La sclerosi tuberosa complessa

Una malattia genetica autosomica
con aspettativa di vita normale, ma con complicazioni potenzialmente fatali.

Quattro domande a

Pasquale Striano

Neurologo, Pediatra,
Professore ordinario di Pediatria Università degli Studi di Genova e IRCCS ‘G. Gaslini’

1. Cosa è la sclerosi tuberosa complessa, quali la diagnosi e il quadro clinico?

La sclerosi tuberosa (TSC) è una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante, con una prevalenza è di circa 1/13.000-30.000. In Italia circa 5.000 persone potrebbero essere affette TSC.

La patologia deriva da mutazioni che coinvolgono i geni TSC1 e TSC2, responsabili dell’abnorme proliferazione cellulare. La diagnosi molecolare è possibile tramite l’analisi del DNA. La patologia è spesso frutto di mutazioni de novo. Oltre ai casi familiari vi sono casi “a mosaico”, dovuti a mutazioni somatiche.

La patologia causa l’insorgenza di tumori, prevalentemente benigni, in diversi organi. Le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili anche tra pazienti con lo stesso difetto genetico e possono manifestarsi durante vari periodi della vita. I segni principali sono a carico di: cuore, vasi, cervello, polmone, occhio, reni, cute ed annessi cutanei. I segni caratteristici sono gli amartomi (dal greco, ‘scherzo di natura’), anomalie malformative con lento accrescimento nel tempo. Molti pazienti mostrano segni già nei primi anni di vita, ma questi possono rimanere “nascosti” per anni. Le lesioni cutanee sono talora visibili dalla nascita. I tipici angiofibromi del volto iniziano intorno ai 3-4 anni, con aspetto di papule rosso-violacee. Sulla fronte e sul tronco appaiono le ‘chiazze zigrinate’, con superficie a buccia di arancia. Frequenti i tumori di Koenen, escrescenze cutanee dure, lisce e fastidiose. Oltre la metà dei pazienti presenta rabdomiomi cardiaci, spesso asintomatici. A livello renale sono particolarmente frequenti gli angiomiolipomi, le cui dimensioni aumentano con l’età. L’aspettativa di vita è normale, ma possono insorgere complicazioni potenzialmente fatali.

2. Quali sono le manifestazioni neurologiche?

L’epilessia è la manifestazione neurologica più frequente. Le crisi possono manifestarsi nei primi anni di vita (75%), ma anche in età adulta. Nella maggior parte dei casi sono dovute alla presenza di tuberi corticali, talora a noduli subependimali o cisti cerebrali. Con l’età, queste escrescenze diventano dure e calcificate, da cui il termine “sclerosi”. Possibile la presenza di astrocitomi subependimali che possono ostruire la circolazione causando ipertensione endocranica.

3. Quanto impatta l’epilessia nei pazienti con TSC e come si tratta?

L’epilessia è una manifestazione abbastanza comune e precoce. Può associarsi a disturbi dell’apprendimento o del comportamento e disabilità intellettiva. Vigabatrin è il farmaco di prima scelta ed agisce sulla GABA-transaminasi, l’enzima responsabile della degradazione del GABA, principale neurotrasmettitore di tipo inibitorio. Circa il 60% dei pazienti manifesta crisi farmacoresistenti. Everolimus (2 mg e 3 mg, compresse per uso orale) è uno dei trattamenti recentemente più studiati. Agisce sulla protein-chinasi mTOR (mammalian Target Of Rapamycin), la cui alterata attività è alla base dell’incontrollata proliferazione cellulare. Il farmaco si è rivelato utile per diverse manifestazioni ed è attualmente indicato come trattamento aggiuntivo per pazienti dai 2 anni di età con crisi epilettiche focali refrattarie. Quasi il 60% dei pazienti risponde alla terapia anche a basse concentrazioni senza eventi avversi. Vanno però valutate le interazioni farmacologiche con prodotti antiepilettici o induttori enzimatici. Molti pazienti vanno incontro ad una diminuzione di più del 50% delle dimensioni dell’angiomiolipoma renale e dell’astrocitoma subependimale.

4. Possiamo parlare di ‘medicina di precisione’?

In effetti è così. Finora si sono utilizzati farmaci per bloccare le crisi, ora possiamo disporre di farmaci basati sull’eziologia, quali l’everolimus. Da capire se cominciare prima con la terapia, per agire ex ante sull’epilettogenesi, e quanto a lungo proseguire. Quest’approccio potrebbe aprire anche delle prospettive nell’ambito delle cosiddette comorbilità associate, in quanto almeno parte della compromissione cognitivo-comportamentale e dei tratti autistici possono essere aggravati dalla severità dell’epilessia o dall’impatto negativo di alcuni farmaci antiepilettici