Il bambino e la cannabis: un incontro fortuito

Un’intossicazione da cannabinoidi va sempre presa in considerazione, a prescindere dal contesto familiare di provenienza e dalle condizioni socioeconomiche, di fronte a un bambino con quadro clinico poco chiaro, anamnesi spesso incompleta e disturbi di natura neuropsichiatrica.

Dante Ferrara1, Adele Figuccia2, Chiara Giordano2, Giovanni Corsello2

1 Pediatra di famiglia ASP 6, Palermo; Docente di Cure Primarie, Scuola di Specializzazione in Pediatria

Università di Palermo

2 Dipartimento Materno-Infantile, Scuola di Specializzazione, Università di Palermo

Report clinico. M.F è un bambino di 24 mesi condotto dal pediatra curante per diversi episodi di vomito, eccessiva sonnolenza e iporessia. La madre riferisce l’inizio dei sintomi al mattino, con difficoltà a risvegliare il bambino dopo la notte, incapacità a mantenere lo stato di veglia per più di cinque minuti consecutivi, perdita dell’equilibrio in posizione eretta e rifiuto della deambulazione. Anamnesi familiare e patologica remota mute. Il piccolo, nato a 38 settimane di gestazione da parto eutocico con buon adattamento alla vita extrauterina, presenta crescita e sviluppo psicomotorio regolari e ha eseguito vaccinazioni secondo calendario. Non frequenta l’asilo nido, non ha fratelli e sorelle e la madre nega contatti recenti con soggetti malati. Non assume farmaci e non presenta allergie note.

All’arrivo allo studio del pediatra curante, i parametri vitali sono i seguenti: frequenza cardiaca 140/min a riposo, frequenza respiratoria 26/min, temperatura corporea 36,5 °C, pressione sanguigna 96/56 mmHg, SatO2 96%. All’esame obiettivo il piccolo appare sonnolento, risvegliabile con stimoli tattili leggeri, irritabile e si riaddormenta prontamente. Cute roseo-pallida, leggermente disidratata, occhi alonati. Le pupille, sebbene ugualmente rotonde, appaiono in midriasi fissa e non reattive alla luce. Nessun nistagmo. Congiuntive bilaterali iniettate senza essudato. Faringe deterso, assenza di rigidità nucale. Attività cardiorespiratoria nei limiti, addome trattabile, non dolente alla palpazione superficiale e profonda. All’esame neurologico, buono il tono muscolare, ma al risveglio incapacità a mantenere la posizione seduta. Non esegue comandi appropriati per l’età a causa dell’eccessiva sonnolenza e presenta iporeflessia ai quattro arti. Non presenti segni di irritazione meningea. La madre, interrogata dal pediatra, riferisce una cena con amici la sera precedente e si mostra stranamente dubbiosa riguardo l’eventuale ingestione accidentale di farmaci o altre sostanze da parte del bambino. Considerato il quadro neurologico presentato dal piccolo e la storia poco chiara circa gli eventi recenti riferita dalla mamma, viene allertato il 118. All’arrivo in Pronto soccorso pediatrico, poiché il personale medico viene messo a conoscenza dei fatti dal pediatra curante, viene effettuata una nuova rivalutazione obiettiva e si recepisce accesso venoso per somministrazione di soluzione fisiologica per idratazione. Eseguiti esami ematochimici con emocromo, pannello metabolico di base, indici di flogosi, analisi delle urine che risultano nella norma. Di contro un esame tossicologico delle urine, per la ricerca di sostanze stupefacenti, risulta positivo a cannabinoidi.

Discussione

La cannabis è la droga illecita più coltivata, trafficata e abusata al mondo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il consumo di marijuana ha un tasso di prevalenza annuale di circa 147 milioni di individui, il 2,5% della popolazione mondiale.1

Negli Stati Uniti, molti Paesi hanno adottato politiche di legalizzazione dell’uso di marjuana a fini ricreativi e medici nell’adulto. Sebbene tali modifiche non interessino l’età adolescenziale, queste contribuiscono indubbiamente a creare un ambiente in cui la marjuana è accettata e considerata sicura.2

Ad oggi, ancora, si discute se l’incremento significativo del consumo di cannabis negli Stati Uniti e l’aumento dei casi di esposizione in età pediatrica, siano conseguenze di tali modifiche legislative.

In tutti gli Stati del Canada (Alberta, British Columbia, Ontario), tranne che nel Québec, è stata liberalizzata la vendita di prodotti alimentari contenti cannabis a uso ricreativo (cioccolata, biscotti, gomme, ecc.). Si è così reso inequivocabilmente evidente il rischio che questa liberalizzazione comporta per i bambini più piccoli in termini di avvelenamento accidentale da tetraidrocannabinolo. L’incidenza di ricoveri per questo tipo di avvelenamento nei bambini di età inferiore a 9 anni è infatti aumentata significativamente nei tre anni dopo la liberalizzazione (raggiungendo i 7,5 casi per 100.000 /anno in questa fascia di età) solo negli Stati che avevano attuato questa liberalizzazione e non nel Québec.3

L’ingestione di cannabis nei bambini piccoli è definita “involontaria” e “accidentale”, ma forse “esplorativa” potrebbe essere l’aggettivo più adatto. La curiosità e la naturale tendenza all’esplorazione dell’ambiente circostante, tipiche dei bambini nei primi due anni di vita, spiegano l’incrementato rischio di intossicazione accidentale in tale fascia di età, con un corteo sintomatologico spesso più severo rispetto a quello osservabile nei bambini più grandi, tra i quali, invece, frequentemente, l’inalazione della sostanza è volontaria. Le ingestioni possono derivare dalla scoperta e dal consumo di prodotti alimentari contenenti cannabis, lasciati incustoditi dai membri adulti della famiglia. Molti prodotti commerciali sono sotto forma di biscotti, caramelle e torte, indistinguibili dai più piccoli dalle loro controparti non a base di cannabis. Tali prodotti, spesso commercializzati in confezioni attraenti e colorate, se assaggiati da un bambino, possono risultare molto appetibili. La cannabis sotto forma di hashish può essere scambiata da un bambino per una barretta di cioccolato e questo potrebbe spiegare perché l’hashish è tra i maggiori responsabili dei casi di intossicazione da ingestione orale.4,5

Il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo), principale composto attivo della cannabis, attraverso il legame con i recettori cannabinoidi CB1 e CB2, media i principali effetti psicoattivi della sostanza quali l’euforia, la sensazione di benessere, il tono dell’umore esaltato, l’analgesia e il rilassamento muscolare che possono accompagnarsi ad un ampio spettro di effetti indesiderati quali xerostomia, midriasi, incoordinazione motoria, sonnolenza, disturbi della memoria e dell’attenzione, aumentata sensibilità agli stimoli esterni, allucinazioni, psicosi acuta, disturbo d’ansia/panico, tachicardia e aumento dell’appetito.




I recettori CB1, a cui il THC si lega principalmente, si trovano a livello del sistema nervoso centrale, soprattutto nella corteccia frontale, nella substantia nigra, nel cervelletto, nell’ippocampo, ma anche a livello delle terminazioni sensoriali. Nei bambini, differentemente dagli adulti, questi recettori sono localizzati prevalentemente a livello del tronco encefalico, spiegando così la maggiore tossicità neuro-vegetativa e centrale e i sintomi neurologici, potenzialmente più gravi, osservabili nei soggetti della prima e seconda infanzia.6

L’insorgenza improvvisa in un bambino di un quadro clinico poco chiaro con sintomi neurologici quali letargia, atassia, ipotonia, midriasi, tachicardia, in assenza di elementi che facciano propendere per uno stato settico o una meningoencefalite (apiressia, indici di flogosi nella norma, non segni di irritazione meningea), dovrebbe sempre indurre il medico a sospettare l’esposizione del bambino a sostanze d’abuso e a indagare sulla possibilità di accesso alla cannabis di un genitore o di chi se ne prende cura.

Il dato anamnestico di nota intossicazione con sostanza d’abuso è un elemento chiave per il pronto avvio di opportuna terapia; tuttavia, spesso, questo non viene riferito perché il caregiver potrebbe non esserne a conoscenza o, evenienza più frequente, viene nascosto poiché conseguenza di negligenza e/o di attività illegali. Pertanto, ottenere la vera anamnesi dei pazienti pediatrici è fondamentale e sono necessari conoscenza, esperienza e osservazione, prestando attenzione a tutte le possibili incongruenze e prove disponibili.

I test di laboratorio di routine (emocromo, indici di flogosi, valutazione della funzionalità epatica e renale) potrebbero essere importanti nella guida di un sospetto clinico e nella diagnosi differenziale.7

Fondamentale è il test tossicologico per la diagnosi definitiva e per l’impostazione di appropriata terapia e follow-up di lattanti o bambini esposti passivamente a sostanze d’abuso. I campioni biologici utilizzabili sono diversi e permettono di distinguere tra un’esposizione acuta (urine, sangue e saliva) e cronica (capelli o meconio). Il test più utilizzato è il dosaggio del THC su urine, positivo già mezz’ora/un’ora dopo l’assunzione di cannabis fino a 48 ore o anche una settimana/dieci giorni in caso di consumo abituale. Matrici non convenzionali quali capelli o meconio permettono una valutazione retrospettiva fondamentale per indagare sull’esposizione cronica del bambino alla sostanza d’abuso; il meconio consente la valutazione dell’esposizione prenatale nel secondo e nel terzo trimestre di gestazione.8

Il test tossicologico rapido su urine dovrebbe diventare uno screening di routine in Pronto soccorso.9

Possibili falsi negativi sono da imputare a livelli di THC inferiori rispetto al cut-off. Il THC viene metabolizzato nel fegato, in gran parte dai citocromi CYP2C9 e CYP3A4, in 11-idrossi-tetraidrocannabinolo (11-OH-THC), metabolita psicoattivo, che successivamente viene metabolizzato in 11-nor-9-carbossi-delta9-THC (THC-COOH), metabolita inattivo. La raccolta di campioni di urina è appropriata per uno screening veloce ma rileva solo il THC-COOH e, per tale motivo, l’indagine non dovrebbe essere effettuata prima di 4-6 ore dopo l’ingestione, poiché il livello di THC-COOH potrebbe essere inferiore al limite di rilevazione.6

Altra possibile causa di falsi negativi è l’utilizzo di cannabinoidi sintetici, che sfuggono ai comuni test di screening urinari. Queste sostanze rappresentano un problema emergente; trattasi di composti chimici che, pur non contenendo derivati della cannabis, agiscono sui suoi recettori, riproducendone gli effetti e determinando effetti tossici non prevedibili e quindi più severi (stato di male epilettico, rabdomiolisi, decesso).

Una volta confermata l’esposizione acuta a sostanze d’abuso, sarebbe opportuno procedere con test su campioni biologici alternativi (capelli) con metodi altamente specifici e sensibili (cromatografia liquida o gassosa e spettrometria di massa) per escludere l’esposizione cronica alla droga. Qualora questa dovesse essere confermata, andrebbero contattate le autorità competenti al fine di eseguire accertamenti sui genitori o su altri bambini conviventi.8

I tempi di osservazione e ricovero dipendono dalle condizioni cliniche del bambino e dall’eventuale necessità di terapia di supporto (idratazione parenterale, ossigenoterapia, ventilazione meccanica e ricovero in terapia intensiva pediatrica nei casi più gravi). Quando nota l’assunzione in anamnesi, è possibile effettuare la gastrolusi e la somministrazione di carbone attivo.10

Se diagnosi, gestione e trattamento sono appannaggio del reparto di emergenza pediatrica, il pediatra di famiglia, come suggerito anche dall’American Academy of Pediatrics, potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel contrastare la percezione di “innocuità” dell’uso di cannabinoidi, sia nei pazienti adolescenti sia nei genitori. Tale ruolo potrebbe in parte essere precluso dall’assenza di legalizzazione della cannabis nel nostro Paese, rendendo l’argomento un tabù, e quindi difficile da trattare, sia per i genitori che per lo stesso medico. Tuttavia, l’ambiente dell’ambulatorio del pediatra curante rappresenta il luogo ideale per l’istruzione dei pazienti e la prevenzione dell’uso di marjuana.




I genitori, non adeguatamente informati, spesso non si rendono pienamente conto dei problemi che il loro stesso uso personale può causare ai figli, sia in termini di rischi di salute, correlati al fumo passivo e al rischio di ingestione accidentale, sia in termini educativi. Il crescente utilizzo della cannabis tra ragazzini di età sempre più bassa (10-13 anni) è un campanello d’allarme e pertanto impone la necessità di un’adeguata informazione dei più giovani circa i rischi a breve e a lungo termine associati all’utilizzo cronico di marjuana.

L’uso dei cannabinoidi può determinare compromissione della memoria a breve termine, riduzione della capacità di concentrazione, dell’attenzione e della capacità di problem solving, indurre importanti difficoltà dell’apprendimento e calo del rendimento scolastico dei giovani, essere causa di numerosi episodi di incidenti stradali. Alcuni studi hanno dimostrato che l’utilizzo abituale di cannabis si associa ad anomalie di funzionamento a carico di alcune regioni cerebrali quali l’ippocampo, deputato alla memoria, e la corteccia prefrontale, che regola il giudizio e la pianificazione esecutiva. È, inoltre, ormai noto che la marjuana, ad esempio, crei dipendenza: circa il 9% dei soggetti che la sperimentano una prima volta diventa poi dipendente, percentuale che sale al 17% se l’utilizzo della sostanza inizia in epoca adolescenziale. Il pediatra di famiglia, creando un rapporto di fiducia reciproca, potrebbe intercettare facilmente quei soggetti che ritiene utilizzino già o siano più a rischio di consumo di cannabinoidi. È importante metterli a conoscenza del fatto che tali sostanze sono non solo illegali, ma che soprattutto non sono benigne, che l’encefalo di un adolescente è ancora in fase di sviluppo e può essere compromesso dall’assunzione delle stesse, con conseguenti gravi disturbi psichiatrici quali depressione, dipendenza e psicosi. I genitori vanno educati sottolineando il ruolo di modello che svolgono per i figli, modello che deve basarsi non solo sulle parole ma anche sui fatti compiuti dai genitori, per cui un bambino che cresce in una famiglia in cui i genitori utilizzano marjuana ha più probabilità di diventarne a sua volta consumatore. Inoltre, l’euforia e gli altri effetti psicotropi indotti dall’utilizzo di cannabinoidi possono alterare la capacità di accudimento dei figli, esponendoli a un più elevato rischio di incidenti domestici e non. È anche importante aiutare il genitore a costruire un rapporto di sincerità con il figlio, soprattutto quando questo si affaccia all’età adolescenziale, in modo che possa sentirsi più a proprio agio nell’affrontare argomenti delicati tipici dell’età, tra cui anche il consumo di sostanze d’abuso.




Il pediatra di famiglia deve dunque cercare di porsi come guida in questo contesto, senza posizioni di giudizio, ma aiutando genitori e pazienti adolescenti nella scelta più adeguata per la propria salute e per chi sta loro attorno. Questo non significa adottare un atteggiamento liberatore nei confronti della cannabis, ma ergersi ad educatore, intercettando le possibili situazioni a rischio e combattendo la disinformazione e il disagio che spesso stanno alla base dell’utilizzo di tali sostanze nocive.

Il numero di casi di intossicazioni da cannabis in età pediatrica è in costante aumento, così come la loro gravità. Questa tendenza sembrerebbe essere collegata alla crescente disponibilità e alla maggiore commercializzazione dei cannabinoidi sintetici e all’uso sempre più diffuso di tale sostanza nella popolazione adulta e tra i giovani adolescenti. Di fronte ad un bambino con quadro clinico poco chiaro, un’anamnesi spesso incompleta e disturbi di natura neuropsichiatrica, l’intossicazione da cannabinoidi va sempre contemplata, indipendentemente dal contesto familiare di provenienza e dalle sue condizioni socioeconomiche. Il pediatra di famiglia deve porsi come guida per genitori e anche per i pazienti adolescenti, con la finalità di istruirli e allontanare la percezione che l’uso di marjuana sia innocuo. .

Gli autori dichiarano di non avere alcun conflitto di interesse.

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10. Croche Santander B, Alonso Salas MT, Loscertales Abril M. Intoxicación accidental por cannabis: presentación de cuatro casos pediátricos en un hospital terciario del sur de España [Accidental cannabis poisoning in children: report of four cases in a tertiary care center from southern Spain]. Arch Argent Pediatr. 2011 Feb;109(1):4-7. Spanish. doi: 10.1590/S0325-00752011000100016. PMID: 21283933.