Malattie infiammatorie croniche intestinali in età pediatrica: cause, manifestazioni cliniche e approcci terapeutici

Un gruppo di patologie che rappresenta un’importante sfida per la salute pubblica, con un’incidenza crescente soprattutto nei Paesi industrializzati. A fronte di cause ancora poco conosciute, è certo che fattori genetici, ambientali e alterazioni del microbioma intestinale hanno un ruolo essenziale.

Sara Curto1,2, Claudia Garassino1, Giovanna Fernanda Vazzana3, Claudio Romano3, Enrico Felici1

1 SC Pediatria e DEA Pediatrico, Centro “Bosio” per le malattie gastroenterologiche pediatriche, Ospedale Infantile, AOU SS Antonio e Biagio e C. Arrigo, Alessandria

2 SCDU Pediatria, Dip. di Scienze della Salute, Università del Piemonte Orientale, AOU Maggiore della Carità, Novara

3 Dipartimento di Patologia Umana dell’adulto e dell’età evolutiva “Gaetano Barresi”, Unità Operativa di Gastroenterologia Pediatrica e Fibrosi Cistica, Università degli Studi di Messina

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) rappresentano un gruppo di patologie a decorso cronico-recidivante che interessano uno o più segmenti dell’intestino. Tra queste, in accordo con i criteri di Porto, distinguiamo tre forme: la rettocolite ulcerosa (RCU), la malattia di Crohn (MC) e la colite indifferenziata (IBD-U).1 Le forme di MICI ad esordio sotto i 6 anni di età sono classificate nelle cosiddette “Very Early Onset-IBD” (VEO-IBD), che includono le sottocategorie “infantile-IBD” < 2 anni e “neonatal-IBD” <28 giorni di vita.

Epidemiologia

L’incidenza e la prevalenza
delle MICI in età pediatrica sono in continuo aumento a livello mondiale: mentre i Paesi occidentali, con presenza storica di queste malattie, mantengono il primato, una recente revisione sistematica ha evidenziato un importante aumento dei casi in aree geografiche in precedenza a bassa incidenza (Africa, Asia, America Centro-Meridionale).
2

L’incidenza di MICI pediatriche per 100.000 anni-persona (Figura 1) in Europa varia da 0 a 21,3, mentre in termini di prevalenza vengono segnalati 31-75 casi ogni 100.000 persone.2




Stratificando per sottotipo di malattia, la prevalenza di MC rispetto a RCU, riportata in Canada e Nord America, non si conferma nel nostro continente, dove vengono riportati più casi di RCU rispetto a MC.2

Nel registro italiano delle MICI della Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP) emerge che la diagnosi di MC riguarda il 44% dei bambini con MICI diagnosticati in Italia dal 2009.

Nonostante la scarsità di dati in letteratura si può affermare che anche la prevalenza delle VEO-IBD sta aumentando nel mondo, da 1,9 (Colombia Britannica, Canada) a 5,8 (Scozia) casi ogni 100.000 persone.2

Analizzando il ruolo del genere è descritto come tale fattore risulti irrilevante per la RCU, mentre la MC mostra una maggiore prevalenza nei maschi, soprattutto nell’età prepubere.

Eziopatogenesi

Negli ultimi anni, i progressi nella comprensione dell’eziopatogenesi multifattoriale delle MICI sono stati significativi. È ormai chiaro che l’insorgenza di queste patologie è correlata ad una combinazione complessa di fattori genetici, ambientali, alterazioni del microbioma intestinale ed una marcata disregolazione del sistema immunitario. Tuttavia, nessuno di questi elementi, considerato singolarmente, è sufficiente a causare la malattia.

Dal 2001, con l’identificazione di NOD2, ad oggi, gli studi di associazione sul genoma (GWAS) hanno ampiamente esplorato il ruolo della genetica nelle MICI. Essa può intervenire come eredità poligenica (più di 200 loci in >1% della popolazione), in grado di conferire suscettibilità per queste patologie, o in qualità di eredità mendeliana ad alta penetranza nelle “IBD monogeniche”. Queste sono spesso riscontrate in pazienti con esordio precoce (infantile/VEO-IBD) e sono caratterizzate da fenotipi più gravi e complessi, con comorbilità autoimmuni e condizioni di immunodeficienza tali da dover ricorrere al trapianto di cellule staminali emopoietiche in alcuni casi. La maggior parte delle MICI monogeniche ha alla propria base alterazioni genetiche (EPCAM, IL10, IL10RA/B, FOXP3, LRBA, SKIV2L, TTC37, TTC7A, XIAP, IPEX…) che modificano l’omeostasi immunitaria intestinale attraverso diversi meccanismi: la distruzione della barriera epiteliale, la ridotta eliminazione di batteri da parte dei granulociti neutrofili, i fenomeni di iperinfiammazione o di autoinfiammazione o di disregolazione delle cellule T e B.3 Da segnalare inoltre le alterazioni dell’IL-10 (IL10, IL10RA o IL10RB), causa di MICI monogeniche ad esordio molto precoce, con malattia perianale entro i primi mesi di vita e coliti gravi durante le prime settimane.3

Numerosi sono i fattori ambientali che giocano un ruolo importante nella patogenesi delle MICI. Tra i principali figurano il fumo di sigaretta, la dieta occidentale, l’assunzione di farmaci, lo stress e l’inquinamento atmosferico. Interessante è il paradosso del fumo, che esercita un effetto protettivo nella RCU, mentre aumenta il rischio di sviluppare la MC. Note sono le proprietà antinfiammatorie della vitamina D, la cui carenza gioca un ruolo importante nel microambiente proinfiammatorio alla base delle MICI.

Non solo la dieta ricca in grassi saturi e conservanti, ma diversi altri fattori legati allo stile di vita occidentale sono associati all’aumentata incidenza delle MICI. In particolare, l’esposizione precoce a terapie antibiotiche, un minor contatto con antigeni virali e batterici durante l’infanzia a causa delle migliori condizioni igienico-sanitarie e la sostituzione dell’allattamento materno con quello artificiale.3

Il microbiota intestinale, grande protagonista di qualsiasi patologia gastrointestinale e non solo, gioca un ruolo rilevante nello sviluppo delle MICI. Molti studi hanno evidenziato che esiste una composizione alterata e una biodiversità significativamente ridotta nel microbiota fecale dei pazienti affetti rispetto ai controlli sani, con variazione anche a seconda della gravità di malattia e della terapia somministrata, identificandosi come un promettente strumento da utilizzare in futuro nella gestione dei pazienti pediatrici con MICI.




Segni e sintomi

Il quadro clinico della MC
varia in base alla sede e all’estensione della
malattia (Tabella 1).




Nella maggior parte dei casi è presente dolore addominale associato ad alvo diarroico. L’esordio può però essere insidioso, soprattutto se il coinvolgimento è limitato al piccolo intestino, con il ritardo di crescita staturo-ponderale come unico sintomo iniziale. In caso di interessamento ileo-cecale, la presentazione può simulare un’appendicite acuta, con febbre, leucocitosi e massa palpabile in fossa iliaca destra. In presenza di stenosi, il paziente può manifestare sintomi di subocclusione o occlusione, come dolori addominali crampiformi e assenza di emissione di feci e gas. La comparsa di fistole perianali rappresenta un segnale caratteristico della malattia. Frequentemente, l’anamnesi riporta anche episodi di epigastralgia, nausea, vomito, dispepsia ed aftosi orale, indici di coinvolgimento del tratto gastrointestinale superiore.

L’esordio della RCU si presenta più frequentemente con la rettorragia, associata a urgenza e tenesmo nel caso la localizzazione coinvolga il retto. Il decorso clinico può variare: in alcuni casi la malattia esordisce in modo acuto, con numerose scariche giornaliere e sanguinamento massivo, che può portare anche ad anemia grave. In altri, la presentazione è più graduale e insidiosa, con una progressione lenta dei sintomi, ematochezia e astenia. Nella RCU si calcola ambulatorialmente il Pediatric Ulcerative Colitis Activity Index (PUCAI 0-85) sulla base dei sintomi delle 48 ore precedenti, con un’ottima correlazione all’attività endoscopica di malattia.4

Particolare attenzione deve essere posta alla sintomatologia addominale notturna, che, associata a segni sistemici quali febbre o febbricola, astenia e calo ponderale, rappresenta un forte indicatore di MICI.

Infine, la RCU può complicarsi con una forma di colite acuta severa (ASC), unica emergenza insieme all’occlusione intestinale nelle MICI: si tratta di una manifestazione grave e pericolosa per la vita, caratterizzata da numerose scariche ematiche liquide, dolore addominale importante e risvegli notturni per sintomatologia (PUCAI ≥ 65) che può condurre al quadro di megacolon tossico, con indicazione a colectomia d’urgenza.5

Le manifestazioni extra-GI

Le manifestazioni extrain-
testinali (EIMs,
Tabella 2) sono riportate dal 6 al 47% dei pazienti con MICI, con un 10% dei casi in età pediatrica.




Esse possono coinvolgere qualsiasi organo o apparato e manifestarsi prima, durante o dopo l’insorgenza della patologia intestinale, con un’incidenza che aumenta con la durata di malattia. Sono stati identificati diversi fattori di rischio associati allo sviluppo o alla riacutizzazione delle EIMs: BMI nei quartili superiori o inferiori, attività moderata-severa di malattia, MC con coinvolgimento esteso, bassa emoglobina e alta proteina C reattiva alla diagnosi (PCR).6




Tra le EIMs più comuni rientrano quelle a carico del sistema articolare, come l’artrite periferica, la sacroileite e la spondilite anchilosante. Queste ultime sono caratterizzate da mal di schiena o rigidità mattutina; l’artrite periferica (più frequente) presenta segni e sintomi a carico degli arti superiori e inferiori. Studi GWAS hanno dimostrato l’associazione tra alcuni geni e le manifestazioni articolari nei pazienti con MICI: la più forte è indubbiamente quella tra spondilite anchilosante e HLA-B27, ma si identificano anche mutazioni della via di segnalazione di IL12/23 o NOD2, vie dell’infiammazione comuni alle due patologie.7

Le patologie epatobiliari possono manifestarsi con un aumento transitorio degli enzimi epatici, fino a condizioni più gravi come la colangite sclerosante (più frequentemente associata a RCU), l’epatite autoimmune e l’insufficienza epatica. Clinicamente queste manifestazioni possono essere subcliniche o accompagnate da sintomi aspecifici quali affaticamento, nausea e anoressia.7

Rispetto alla popolazione generale, i pazienti con MICI hanno anche una maggiore probabilità di sviluppare alterazioni pancreatiche, come il transitorio rialzo di amilasi e lipasi e la pancreatite acuta, con una prevalenza maggiore nella malattia di Crohn. La pancreatite può essere causata da calcoli biliari, infiammazione duodenale o, più raramente, dall’uso di farmaci come l’azatioprina e la mesalazina.

La cute è un sistema frequentemente coinvolto: le forme più frequenti sono l’eritema nodoso, il pioderma gangrenoso, la psoriasi e la stomatite aftosa.

L’eritema nodoso è la manifestazione dermatologica più comune. Si presenta con noduli sottocutanei eritematosi e dolenti, localizzati prevalentemente sulle superfici estensorie degli arti inferiori, ma anche su cosce e avambracci. La sua comparsa è spesso correlata con una fase di attività della patologia di base.

Il pioderma gangrenoso colpisce più spesso le donne, le persone di origine africana e i pazienti con anamnesi familiare di RCU. Si manifesta inizialmente con pustole o papule, che evolvono rapidamente in ulcere dolorose con bordi violacei e irregolari. Le lesioni si localizzano prevalentemente sulle gambe, ma possono comparire anche su testa, collo e tronco, spesso in corrispondenza di traumi pregressi. Il pioderma gangrenoso ha un decorso imprevedibile, talora indipendente dall’attività della MICI, con possibili recidive, infezioni secondarie e cicatrici estese, incidendo significativamente sulla qualità di vita del paziente.7

Le patologie oculari sono spesso insidiose da diagnosticare e possono avere esiti invalidanti se non trattate precocemente. L’uveite, tipicamente bilaterale, è più comune nella MC e si caratterizza per dolore oculare, arrossamento, visione offuscata, fotofobia e cefalea. L’episclerite, invece, è autolimitante e strettamente correlata alle riacutizzazioni della MICI; i sintomi si risolvono con il controllo della malattia intestinale e con terapie conservative, come lubrificanti oculari e impacchi freddi. La sclerite, manifestazione rara, si associa a dolore oculare e, talvolta, arrossamento.7

Diagnosi

La diagnosi di MICI in età pe-
diatrica si fonda su una valutazione accurata che integra dati anamnestici, esame obiettivo, parametri auxologici, test di laboratorio e indagini strumentali; deve seguire i Criteri di Porto, revisionati nel 2013.
1

Le indagini laboratoristiche nel sospetto di MICI includono esami ematici, come emocromo, indici di flogosi (VES, PCR, ferritina), funzionalità epatica e renale, assetto nutrizionale (ioni, vitamine, assetto marziale, metabolismo calcio-fosforo, albumina). Su campione fecale è necessario escludere cause infettive, con coprocolture, ricerca di Clostridium difficile e virus (adenovirus, rotavirus, norovirus, citomegalovirus). Può essere utile eseguire il dosaggio della calprotectina fecale.4,5

L’esame cardine (o gold standard) è rappresentato dall’endoscopia digestiva (esofago-gastroduodenoscopia-EGDS e ileo-colonscopia), sempre accompagnata da valutazione strumentale del piccolo intestino, in caso di sospetto di MC o IBD-U (enterografia con risonanza magnetica-MRE o enteroscopia con videocapsula-VCE/WCE), e dalla risonanza magnetica della pelvi per escludere malattia perianale. L’analisi istologica dei campioni bioptici fornisce la conferma diagnostica.1

Segni endoscopici tipici di RCU sono costituiti da un’infiammazione continua e uniforme della mucosa, tipicamente a partire dal retto, con edema, perdita di vascolarizzazione, austrature, eritema, friabilità, ulcere superficiali e profonde, pseudopolipi infiammatori. Localizzazioni endoscopiche più rare sono le cosiddette “cecal patch” (2% dei casi), area di infiammazione periappendicolare associata a malattia distale continua dalla flessura splenica, e “backwash ileitis” (6-20%), unico caso di coinvolgimento ileale, associato a pancolite e coinvolgimento della valvola ileocecale. A livello istologico, si osservano alterazioni delle cripte e ascessi criptici.1 Per rendere standardizzati e comparabili i referti endoscopici si ricorre all’attribuzione di score mirati, come il MAYO endoscopic subscore (MES) e l’UCEIS (Tabella 3 e 4).







In merito alla MC è tipica una flogosi non continua con lesioni “a salto”, che alternano aree di mucosa danneggiata (ulcere aftoidi e serpiginose) a porzioni sane, che conferiscono un aspetto ad acciottolato. Lo score endoscopico più utilizzato nella MC è il SES-CD (Tabella 5).




Il danno nella MC coinvolge l’intero spessore della parete intestinale, a differenza della RCU, con possibili fistole e danni alla tonaca muscolare. Microscopicamente, si evidenziano infiammazione transmurale focale, fibrosi della sottomucosa e granulomi non caseosi, reperto distintivo della malattia.

L’IBD-U è un tipo di MICI in cui l’infiammazione è limitata al colon, con caratteristiche che rendono la differenziazione tra RCU e MC difficoltosa (scarso accrescimento, infiammazione prossimale>distale, risparmio del retto, ulcere aftoidi in stomaco/duodeno non spiegate da altre cause).1

Un cenno va fatto infine all’ecografia addominale, strumento non invasivo, utile ma non indispensabile per la diagnosi, capace di evidenziare ispessimenti della parete intestinale, perdita di stratificazione e ingrossamento linfonodale.

Terapia

Gli obiettivi principali del-
la terapia per le MICI sono definiti nel lavoro di revisione sistematica e consensus svolto dall’ “International Organization for the Study of IBD (IOIBD)” nel 2021 (STRIDE II). Includono la risposta clinica, seguita da normalizzazione degli indici di flogosi ematici, diminuzione del valore di calprotectina fecale, eventualmente associato a ripresa di normale crescita, fino alla guarigione intestinale (remissione istologica in RCU e guarigione transmurale nella MC) con miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
8

Per raggiungere tali risultati, si adotta un approccio terapeutico multidisciplinare, che integra terapie nutrizionali, farmacologiche e, in casi selezionati, chirurgiche.

L’approccio nutrizionale, applicabile come terapia esclusiva solo nel Crohn a basso rischio non stenosante e non fistolizzante, consiste nella somministrazione di formula polimerica come nutrizione enterale esclusiva (EEN) o parziale (PEN), oppure nell’applicazione di diversi regimi dietetici (CDED, CD-TREAT, “Tasty & Healty” TM) terapeutici.9 Le diete per MC, più o meno selettive, si basano sul principio dell’eliminazione degli alimenti con componenti ad azione proinfiammatoria, quali i cibi confezionati, le bevande zuccherate, i latticini, la carne rossa, il glutine e i dolci industriali. Sicuramente è l’alternativa terapeutica più sicura da utilizzare, tuttavia risulta difficilmente praticabile a lungo termine per via della compliance, ottimale nei bambini di età prescolare, ma in diminuzione con l’aumento dell’età.

La gestione farmacologica delle MICI si basa tradizionalmente sull’impiego di corticosteroidi (CS), topici e sistemici, nell’induzione alla remissione della malattia e nella gestione delle riacutizzazioni, con embricazione di aminosalicilati (RCU) o immunosoppressori (tiopurine, metotrexato) come terapia di mantenimento a lungo termine. Questa strategia tuttavia non è scevra da effetti collaterali, come l’immunodeficienza più o meno marcata, l’insufficienza surrenalica e l’osteoporosi.4,5,10

Dalla necessità di limitare il più possibile gli effetti collaterali, tenendo sotto controllo l’infiammazione intestinale e le comorbidità dei pazienti, prende avvio nel 1997 l’era dei farmaci biologici con l’approvazione di infliximab per MC.

Al giorno d’oggi molti farmaci biologici e biotecnologici sono stati sviluppati, forti della loro inibizione selettiva di processi infiammatori. Tuttavia, le opzioni disponibili in età pediatrica rimangono limitate a causa del ritardo, stimato in circa una decina d’anni, nell’avvio e nella realizzazione di studi registrativi in questa fascia d’età. Gli agenti anti-TNF-α (infliximab e adalimumab), ufficialmente approvati dal 2007 per l’uso nei pazienti di età superiore ai 6 anni, hanno dimostrato una notevole efficacia nel promuovere la remissione clinica e istologica. Il loro impatto è particolarmente significativo nella gestione della MC perianale, panenterica e stenosante, dove attualmente rappresentano la prima linea terapeutica.10 Inoltre, l’infliximab svolge un ruolo fondamentale come terapia di seconda linea, o “di salvataggio”, nel trattamento della colite acuta severa, soprattutto nei casi in cui i corticosteroidi risultano inefficaci.5

Nonostante i benefici, una quota significativa di pazienti, compresa tra il 10% e il 30%, non risponde alla fase di induzione, e circa il 50% di coloro che inizialmente rispondono va incontro a una perdita di efficacia nel tempo. Questo fenomeno può essere attribuito a livelli sierici subottimali del farmaco o alla formazione di anticorpi anti-farmaco. Per affrontare tali problematiche, il Monitoraggio Terapeutico dei Farmaci (TDM) rappresenta uno strumento fondamentale. Consente di misurare le concentrazioni circolanti di farmaco e di rilevare la presenza di anticorpi, permettendo così di ottimizzare la terapia e mantenere livelli sierici adeguati all’interno di una finestra terapeutica ottimale.10




Oltre agli anti-TNF-α altri biologici hanno mostrato risultati promettenti e sono spesso utilizzati nella pratica clinica in età pediatrica, fuori scheda tecnica o come uso compassionevole. Il vedolizumab (anti integrina α4β7), l’ustekinumab (anti IL12/23) e i più selettivi inibitori della subunità p19 del recettore dell’IL-23, sono anticorpi monoclonali ad azione estremamente mirata e sicuri, approvati nel trattamento di MC e RCU in età adulta, in caso di mancata risposta a terapia convenzionale o agli anti-TNF-α.

Si sono aggiunti, negli ultimi anni, nuovi farmaci definiti “piccole molecole”, che prevedono la somministrazione per via orale. Sono i cosiddetti JAK inibitori (tofacitinib, upadacitinib e filgotinib), caratterizzati da una significativa rapidità d’azione, che li rende una possibile opzione terapeutica anche in ASC e per le EIMs.

Quando il trattamento medico risulta inefficace, l’intervento chirurgico può diventare necessario. Nella MC pediatrica, la chirurgia è solitamente mirata alla gestione di complicanze come stenosi o fistole. Nella RCU l’intervento principale è la colectomia, solitamente seguita da anastomosi ileo-anale con formazione di pouch, indicata nei casi più gravi o refrattari alla terapia farmacologica.

Conclusioni

Le MICI rappresentano un’im
portante sfida per la salute pubblica, con un’incidenza crescente soprattutto nei Paesi industrializzati. Sebbene le cause precise siano ancora poco conosciute, si sa che fattori genetici, ambientali e alterazioni del microbioma intestinale giocano un ruolo essenziale. La diagnosi precoce è fondamentale per prevenire le complicanze e migliorare il decorso della malattia. Il trattamento delle MICI è complesso e personalizzato, combinando gli approcci nutrizionali, quelli farmacologici e, in alcuni casi, quelli chirurgici. Sebbene i farmaci biologici abbiano migliorato notevolmente la gestione della malattia, le MICI continuano ad avere un impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti, soprattutto in pediatria.
 .

Gli autori dichiarano di non avere alcun conflitto di interesse.

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