Ricominciare a curare i bambini in eccesso ponderale con la Consensus Sip-Siedp

Successi e problemi di un percorso in rete fra pediatria di famiglia
e ambulatori di 2° livello a Ragusa

Salvatore Purromuto1, Rita Tanas2, Maria Nunziata Romano1,
Desirée Musso3, Giovanni Corsello4

1 Ambulatori Territoriali di Obesità Infantile, ASP Ragusa

2 Poliambulatorio Futura, Ferrara

3 Dietista libero professionista, Ragusa

4 Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile
“G. D’Alessandro”, Università degli Studi di Palermo




Caso clinico. A. è un bambino di 9 anni da sempre robusto, con due sorelle normopeso e anamnesi familiare e personale non significativa.

Considerando i dati del suo pediatra, secondo i criteri oggi raccomandati del WHO, da 18 a 21 mesi A. aveva rapporto peso/lunghezza z-score 2,3 (diagnosi sovrappeso), il suo BMI z-score restava poi elevato dai 2 ai 4 anni oscillando fra 2,9 a 2,3. Dopo di allora il suo pediatra lo vede solo a 5,5 anni e, purtroppo, deve costatare un importante eccesso ponderale (BMI z-score 3,5 = diagnosi obesità severa).

Quindi, gli offre i soliti buoni consigli e visite più frequenti, 4 in 1 anno, alla fine del quale, però, il BMI z-score è ancora 3,5.

Preso atto con vero dispiacere della mancata risposta, propone alla famiglia una dietista, che lo segue e prescrive ad A. una buona dieta, ma dopo altri due anni il BMI z-score ancora non cambia. La mamma è disperata. Il bambino ha quasi 9 anni e il pediatra si domanda: “Cosa fare? Dichiarare fallimento?”.

La mamma, intanto, decide di iscriverlo ad una seconda attività motoria e chiede una nuova dieta, ma “buona”, cioè che dia buoni risultati!

Ma “dove trovarla?... Potrebbe servire prescrivere esami... Enfatizzare il rischio di sviluppare complicanze?...”.

Introduzione

Negli ultimi 40 anni l’obesità infantile ha raggiunto proporzioni allarmanti, diventando uno dei maggiori problemi di sanità pubblica globale, ma non si sa ancora come trattarla. La sua prevalenza continua a crescere nei paesi poveri, in età prescolare e nelle minoranze1 e aumentano le forme severe. L’Italia con le sue regioni meridionali occupa i primi posti della classifica europea (www.epicentro.iss.it/okkioallasalute/dati2016.asp).

Le cure proposte da vari documenti internazionali sembrano poco efficaci e molto costose anche per le famiglie e quindi sono offerte con difficoltà dal SSN e spesso rifiutate dalla popolazione. La cura per l’obesità non può che partire dai pediatri di famiglia (PdF). Per sostenerli si sono proposti formazione e incentivi, ma con risultati tanto piccoli2 da richiedere un cambiamento di rotta: offrire una rinnovata visione etiologica, obiettivi possibili e l’aiuto di altre figure professionali (educatore, psicologo, dietista), con cui imparare a lavorare in team.

La Consensus italiana su diagnosi, prevenzione e trattamento dell’obesità del bambino e dell’adolescente3, pubblicata ormai da oltre un anno, si muove in tale direzione e invita a realizzare una cura in rete, distinguendo tre livelli assistenziali: il PdF, il team territoriale e quello ospedaliero. In Italia la presenza del PdF potrebbe rendere efficace questo modello (Box 1), impensabile altrove, ma purtroppo spesso il PdF non si ritiene capace di occuparsi di obesità per mancanza di tempo, rimborsi, risorse e soprattutto per un insieme di barriere culturali che coinvolgono tutto l’ambiente intorno al bambino. Il team territoriale è stato istituito in poche Aziende Sanitarie e spesso senza competenze pediatriche. L’ospedale, infine, può occuparsi solo di obesità clinicamente complicate.

Ancora troppo spesso i PdF, sentendosi impotenti ad aiutare i loro pazienti, dopo un iniziale fallimento delle cure tradizionali valutate con gli obiettivi tradizionali, provano a motivarli evidenziando il rischio delle complicanze. La sottolineatura universale della responsabilità personale delle famiglie sull’esito delle cure e la paura delle complicanze rovina la relazione medico-famiglia-paziente, aumenta i sensi di colpa e la vergogna e spinge a rinunciare. Nei pochi centri di 2° livello esistenti, d’altronde, il personale è spesso carente, impreparato al trattamento familiare e ad affrontare lo stigma, privo di collaborazioni e strumenti di supporto adeguati (collaborazioni con scuole, società sportive; costruzione e/o ripristino di spazi dedicati: giardini, piste ciclabili, piscine, palestre, ecc.).

L’incapacità di utilizzare interventi medici efficaci ed economicamente sostenibili è frequente in sanità ed è responsabile di importanti sofferenze e riduzione dell’attesa di vita in tutto il mondo. Il cattivo utilizzo va dal mancato accesso ad un’assistenza adeguata, alla fornitura di cure inadeguate per adozione lenta o parziale delle innovazioni. Poco si investe ancora per capire come superare gli ostacoli all’adozione di interventi efficaci e come renderli accessibili4.

Questo studio vuole raccontare un progetto coordinato in rete fra PdF e ambulatorio di 2° livello realizzato a Ragusa da 10 anni, presentando i suoi risultati, per favorirne il miglioramento e l’implementazione in altre realtà.




Il Progetto di Ragusa

Nel 2008 l’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa ha istituito un servizio territoriale dedicato a pazienti in età evolutiva (2-18 anni) con sovrappeso/obesità, in rete con i PdF e con la Pediatria Ospedaliera. Il servizio è svolto da 2 professionisti, un pediatra e un’infermiera, e i pazienti vi accedono spontaneamente o inviati dai loro PdF. Gli operatori delle Cure Primarie sono stati preventivamente informati dell’istituzione del servizio, della tipologia di percorso terapeutico proposto e del proposito di offrire loro un aggiornamento continuo sui pazienti inviati per ottenere il loro sostegno ad una migliore aderenza terapeutica.

Il pediatra del servizio ha sviluppato un percorso di terapia comportamentale centrato sulla famiglia. La prima visita è costituita da un colloquio che valuta la motivazione della famiglia e le sue attitudini positive nella gestione della salute, aiutando i genitori a farsi un programma di scelte quotidiane, alimentari e motorie più sane (Box 2).5-8 Essa si conclude con la prescrizione di indagini di laboratorio e\o strumentali, eventuali consulenze specialistiche e l’impostazione del trattamento articolato in visite trimestrali per un periodo complessivo di circa 2 anni, con un tempo di contatto professionale medio di circa 3-4 ore / anno.




I dati antropometrici e la pressione arteriosa sono stati rilevati e valutati secondo i criteri della Consensus (Tabelle 1, 2). Gli esami di laboratorio proposti sono stati: glicemia, insulina, colesterolo, trigliceridi. Per valutare l’insulino-resistenza (IR) si è utilizzato l’homeostasis model assessment (HOMA-IR).




Lo studio riporta i dati clinici del 2010, primo anno di attività piena del centro su 257 pazienti con sovrappeso/obesità di 5-18 anni presentatisi per prima visita. Centoventidue di questi bambini hanno aderito al trattamento di educazione terapeutica, che chiameremo GET, per 1 anno e 59 di essi hanno continuato il percorso per un 2° anno. Nessun soggetto è stato escluso.

Il GET ha presentato dopo un anno di cura una riduzione del BMI z-score di 0,53±0,6 e della circonferenza vita di 3 cm. Il grado di eccesso ponderale è migliorato: i pazienti con obesità severa si sono ridotti da 45 a 20 e 6 sono diventati normopeso.

Nei 59 bambini che hanno proseguito la cura, la riduzione del BMI z-score dopo 2 anni è stata 0,92±0,6, quella della circonferenza vita di 4 cm; i pazienti con obesità severa si sono ridotti da 22 a 7 e 7 sono diventati normopeso.




L’ambulatorio, seguendo i principi ribaditi dalla Consensus (Box 3), definisce “successo” riduzioni ponderali minime, cioè tutti i bambini con BMI z-score diminuito o invariato. I “successi” sono stati 89% dei bambini seguiti per 1 anno e 98% di quelli curati per 2.

Anche i fattori di rischio cardio-metabolico sono migliorati. Nel gruppo in cura la percentuale di soggetti con rapporto vita/altezza elevato (> 0,5) si è ridotta da 92 a 66%; la pressione arteriosa elevata (>90° percentile) nel 13% dei maschi e 6% delle femmine alla prima visita, si è normalizzata in tutti alla seconda.

Quarantuno pazienti con obesità avevano almeno un valore di laboratorio superiore alla norma (alterazione glico-metabolica e/o dei lipidi), di cui ben 10 ne avevano già più di uno.

Dopo 1 anno di cura tali valori sono diventati normali in 24 bambini e migliorati negli altri. L’IR, valutata con l’indice HOMA-IR, aumentata inizialmente in 30 bambini si è dimezzata dopo 1 anno.

Anche nei bambini con esame alterati dopo 1 anno di cura il BMI z-score è diminuito bene (-0,46) e quelli con obesità severa si sono ridotti da 14 a 11, nessuno è diventato normopeso.

Purtroppo l’ambulatorio ha registrato un drop out elevato: quasi la metà dei bambini valutati ha aderito alla cura per 1 anno e solo il 48% di essi ha proseguito per un secondo anno. Fra quelli con esami alterati, e, quindi, a maggior rischio, l’aderenza è stata ancora inferiore: 27%.

Discussione

Nonostante tutte le difficoltà che ostacolano la cura dell’obesità infantile, ben note ai PdF, la creazione di ambulatori di 2° livello gestiti da professionisti dell’area pediatrica a sostegno delle Cure Primarie ha realizzato a Ragusa un percorso di cure valido e sostenibile per un congruo numero di bambini. L’89% dei bambini trattati nel 2010 ha ridotto il suo BMI z-score: nel 50% la riduzione è stata ≥ 0,50 e nel 73% ≥ 0,25, valori significativi di miglioramento dell’adiposità e del rischio cardio-metabolico e decisamente superiori a quelli riportati dalla letteratura che per le tre fasce di età <6, 6-12 e >12 anni riporta rispettivamente riduzioni di 0,30, 0,04 e 0,132. I bambini presi in cura a Ragusa, inoltre, erano per il 74% di età scolare fra 6-12 anni (6% prescolare), come in quasi tutti i centri pediatrici di 2° livello, data la tardiva consapevolezza delle famiglie, che nasce solo ai primi episodi di derisione scolastica, e la difficoltà a curare in ambito pediatrico gli adolescenti.




Tali risultati potrebbero motivare i PdF ad occuparsi di nuovo con fiducia di bambini con eccesso ponderale? E magari anche di quelli che non accettano subito l’invio al 2° livello o lo abbandonano troppo presto?

Purtroppo abbiamo notato che la presenza di indici di aumentato rischio-metabolico, riscontrata e comunicata al PdF e alle famiglie, si è associata a più basse percentuali sia di aderenza alla cura che di successo. Probabilmente questi pazienti, che per fattori genetici e ambientali rispondono meno al trattamento e per i fallimenti già registrati hanno meno fiducia di riuscire, richiederebbero cure personalizzate e l’auspicata riduzione dello stigma universale sul peso che non favorisce, ma ostacola la cura (Box 4, 5). Anche l’aderenza al trattamento come il suo abbandono precoce richiedono di essere approfonditi per migliorare l’intervento con le famiglie a maggiore rischio.9







La cura su 2 livelli offre vantaggi innumerevoli a tutti gli attori (Box 6) e pone le basi per realizzare nuovi approcci non solo multicomponente, ma anche multisettoriali.10




E il nostro bambino? (segue Caso clinico) Il pediatra decide di inviarlo con fiducia ad un ambulatorio pediatrico dedicato. Così A. arriva al 2° livello già stigmatizzato a scuola e a casa: cm 154, kg 47, rapporto vita/altezza 0,58, valgismo e pressione arteriosa normale/alta. BMI z-score 3,3 (diagnosi obesità severa con comorbilità).

Viene seguito per 1 anno (tre visite) con un progetto educativo familiare, che punta per prima cosa a ridurre lo stigma in famiglia e a scuola e sostenere l’autostima e la motivazione di tutto il gruppo familiare, oltre a suggerire di adottare più scelte alimentari e motorie sane. Intanto A. e la sua famiglia continuano a ricevere sostegno dal PdF per andare avanti nel percorso anche senza vedere un cambiamento ponderale.

Solo dopo 18 mesi ai numerosi continui successi nelle relazioni familiari, nel percorso scolastico e in quello sportivo, che si sono andati accumulando col passare dei mesi, si aggiunge anche l’atteso miglioramento del BMI z-score! All’ultima visita (la quinta) a 11 anni A. ha BMI z-score 2,66 (diagnosi obesità moderata), rapporto vita/altezza 0,53, pressione arteriosa nella norma! Il calo del BMI z-score di 0,84 viene mantenuto nei 3 anni successivi, come si deduce dai dati di peso e statura comunicati dal suo PdF, ed è di gran lunga superiore alle previsioni ipotizzate dalle revisioni scientifiche. Risultato ottenuto attivando e coordinando tutti: la famiglia, la scuola ed il gruppo sportivo e tutti i professionisti sanitari coinvolti alla cura di A. per realizzare un processo di miglioramento della sua salute psicofisica, piuttosto che prescrivendo o suggerendo scelte di vita standardizzate. Un vero successo!

Messaggio conclusivo

Sostenuti da una politica che si sta finalmente interessando al problema e sta realizzando le scelte più adeguate ad affrontarlo, Ambulatori Pediatrici di 2° livello con équipe formate, istituiti in tutte le aziende sanitarie in collaborazione stretta con le Cure Primarie, anch’esse preparate al lavoro in team (Box 7), potrebbero costituire un “setting” per curare efficacemente i bambini con obesità, con tempi di contatto professionale contenuti e accettabili per le famiglie. Risultati più significativi si potrebbero registrare ampliando il team con altre figure professionali e avviando una collaborazione con la Scuola e con la Comunità per ridurre lo stigma sul peso e una formazione professionale continua sulla cura dell’obesità, con un approccio precoce condiviso non colpevolizzante e attese di risultato realistiche

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. Jaacks LM, Vandevijvere S, Pan A, et al. The obesity transition: stages of the global epidemic. Lancet Diabetes Endocrinol 2019;7:231-40.

2. Ells LJ, Rees K, Brown T, et al. Interventions for treating children and adolescents with overweight and obesity: an overview of Cochrane reviews. Int J Obes (Lond) 2018;42:1823-33.

3. Valerio G, Saggese G, Maffeis C. Diagnosi, trattamento e prevenzione dell’obesità del bambino e dell’adolescente. Consensus della Società Italiana di Pediatria e Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia pediatrica. Area Pediatrica 2017;18:151-7 (I parte) e Area Pediatrica 2018;19:6-13 (II parte). www.area-pediatrica.it/articoli.php?archivio=yes&vol_id=2881&id=29047

4. Glasziou P, Straus S, Brownlee S, et al. Evidence for underuse of effective medical services around the world. Lancet 2017;390:169-77.

5. WHO Working Group: World Health Organization, Regional Office for Europe: Therapeutic Patient Education. Continuing education programs for healthcare providers in the field of prevention of chronic diseases. Geneva; 1998.

6. Tanas R, Marcolongo R, Pedretti S, Gilli G. A family-based education program for obesity:
a three-year study. BMC Pediatr 2007;7:3.

7. Tanas R, Baggiani F, Caggese G, Messina R, Corsello G. Curare la derisione professionale dei pediatri italiani per non condannare i bambini all’obesità. Area Pediatrica 2017;18:126-31.

8. Pont SJ, Puhl R, Cook SR, Slusser W. Section on obesity; obesity society. Stigma experienced by children and adolescents with obesity. Pediatrics 2017;140. pii: e20173034.

9. Farnesi BC, Perez A, Holt NL, et al. Continued attendance for paediatric weight management:
A multicentre, qualitative study of parents’ reasons and facilitators. Clin Obes 2019;18:e12304.

10. Siegel RM, Haemer M, Kharofa RY, et al. Community healthcare and technology to enhance communication in pediatric obesity care. Child Obes 2018;14:453-60.