Sanguinamento ricorrente: quando tutto è come sembra, ma niente va come dovrebbe




Rarità della malattia, mancato riconoscimento dei sintomi, ritardo diagnostico:
conoscere l’emofilia permette di intervenire presto e prevenire complicanze.

Valentina Sottili, Elisa Tota, Giuseppe Banderali

Clinica Pediatrica, Polo San Paolo

ASST Santi Paolo e Carlo

Università degli Studi di Milano

Report clinico. E., nato a termine da taglio cesareo urgente per distocia cervicale. Apgar 9-10. PN: 3950g (LGA). A 16 mesi veniva condotto presso il nostro Pronto Soccorso per riferiti episodi ricorrenti di petecchie ed ecchimosi spontanee o dopo traumi lievi in assenza di altra sintomatologia. All’esame obiettivo si osservava presenza di numerose lesioni ecchimotiche in varie fasi evolutive (Figura 1), con restante obiettività clinica nella norma. Non lesioni o indizi sospetti per maltrattamento (bimbo ben curato, non ustioni, non precedenti accessi per fratture, mai episodi convulsivi). Il bambino si presentava neurologicamente adeguato, in assenza di segni meningei o settici. Non riferiti traumi recenti. Venivano eseguiti esami ematici urgenti che mostravano un esame emocromocitometrico nei limiti di norma, ma una funzionalità emocoagulativa alterata, con tempo di protrombina (PT) normale, tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) allungato (125,3 sec. ratio: 4.23); fibrinogeno nella norma (249 mg/dl), D-dimero aumentato (354 ng/ml). Alla rivalutazione clinica si riscontrava comparsa di tumefazione in sede di prelievo venoso, come visibile in figura 2.




Veniva pertanto eseguita ecografia della cute e dei tessuti sottocutanei, che evidenziava edema delle parti molli, in assenza di immagini riferibili a franchi ematomi. In considerazione del quadro clinico, si disponeva il ricovero immediato e si approfondiva la componente anamnestica fino a quel momento muta.

La raccolta anamnestica evidenziava una familiarità positiva per sanguinamenti spontanei o dopo traumi lievi; la madre e il nonno materno segnalavano facilità ad ecchimosi spontanee e fenomeni emorragici importanti a seguito di pregressi interventi chirurgici; la madre segnalava inoltre due episodi di ematemesi per ulcera perforata a distanza di 10 giorni dal parto, con necessità di emotrasfusioni per anemizzazione severa. Anamnesi familiare paterna negativa per diatesi emorragica.

In anamnesi patologica remota si segnalava, in epoca neonatale, dopo esecuzione di esami ematici per rischio infettivo (liquido amniotico tinto 3) e ittero neonatale, comparsa di importante lesione ecchimotica e lieve tumefazione dell’arto superiore destro in sede di prelievo, senza limitazione funzionale e con risoluzione del quadro in circa 10 giorni. I genitori riferivano inoltre comparsa di ecchimosi spontanee a livello delle ginocchia e del dorso dei piedi, soprattutto da quando il piccolo aveva iniziato a gattonare, sanguinamento prolungato per piccole ferite e formazione di tumefazione in sede di inoculo vaccinale. Non riferiti ematomi né diatesi emorragia dopo profilassi con vitamina K. Mai emartri né ematomi muscolari.

Nel sospetto di malattia X-linked, si richiedeva una valutazione specialistica ematologica e venivano dosati i fattori IX, XI, von Willebrand Ag e RC, risultati nella norma, mentre il fattore VIII risultava indosabile (0%), consentendo di porre diagnosi di emofilia A di tipo grave.

A completamento diagnostico veniva effettuata ecografia addominale (nella norma). Su indicazione specialistica si iniziava per via orale acido tranexamico (12,5 mg/kg per 3 volte al giorno) e acido folico e terapia topica antinfiammatoria. Si affidava il piccolo al Centro di emofilia di competenza, dove l’analisi genetica mediante tecnica NGS documentava inversione dell’introne 22, mutazione riscontrata anche nella madre e nel 42% dei pazienti con emofilia A severa1. Il piccolo è attualmente in follow-up presso il centro ematologico di riferimento, dove è stata avviata terapia sostitutiva con fattore VIII. Non riferiti ulteriori sanguinamenti importanti. Eseguite vaccinazioni in ambiente protetto senza complicanze. Accrescimento staturo-ponderale e neuro-psicomotorio regolare.

Emofilia:
una malattia antica

La prima menzione della malattia risale al II secolo dopo Cristo. Nel Talmud, infatti, una raccolta di scritti rabbinici, veniva vietata la circoncisione di bambini maschi nel caso in cui due fratelli fossero deceduti a causa dell’eccessivo sanguinamento durante tale procedura. La prima descrizione di tale patologia risale invece al X-XII secolo, quando il medico chirurgo arabo Albucasis descrisse il caso di una famiglia in cui i soggetti di sesso maschile morivano di sanguinamento a seguito di ferite comuni. John Conrad Otto, un medico statunitense vissuto nel XIX secolo, comprese per primo la trasmissione ereditaria dell’emofilia, con una predisposizione per il sesso maschile. Il termine “emofilia”, che deriva dal greco (ema = sangue; filia = affezione), venne coniato per la prima volta nel 1828 in un saggio universitario scritto dal medico Hopff. L’interesse per la malattia crebbe dopo la seconda metà del XIX secolo, quando Leopoldo, l’ottavo figlio della regina Vittoria, portatrice eterozigote della malattia di tipo B, morì di emorragia cerebrale in giovane età. A metà degli anni Novanta due ricercatori, Taylor e Harvard, riuscirono a normalizzare la coagulazione dei malati mediante l’aggiunta di una sostanza contenuta nel plasma, in seguito definita “globulina antiemofilica”. Le basi della moderna terapia le pose poco tempo dopo il dottor Pavlosky di Buenos Aires, il quale dimostrò che il sangue di un individuo emofilico (deficit fattore VIII) era in grado di correggere il difetto di un altro emofilico (deficit fattore IX), ponendo le basi per la futura cura della patologia.2




Quando un ritardo diagnostico può essere causato dalla rarità della malattia

L’emofilia è una malattia rara, con incidenza globale di 1:10 000 nuovi nati.




L’emofilia di tipo A (deficit del fattore VIII) rappresenta l’80% di tutte le emofilie. Il gene deputato alla sintesi del fattore (gene F8) è sito sul braccio corto del cromosoma X. Le donne portatrici eterozigoti in genere presentano il 50% dei livelli circolanti del fattore, e quindi sono asintomatiche. Tuttavia, in rari casi, a causa dell’inattivazione casuale del cromosoma X normale durante l’embriogenesi, una portatrice può presentare i sintomi classici della malattia, avendo livelli di fattore VIII circolante inferiori al 30%. La maggior parte delle mutazioni previene la sintesi dell’antigene del fattore, altre volte il fattore viene sintetizzato con attività funzionale variabile. La classificazione dell’emofilia si basa sull’attività biologica del fattore ematico3 (Tabella 1).




La diagnosi precoce di emofilia è fondamentale per consentire la tempestività nelle cure, ma spesso non risulta semplice. Per quanto il sanguinamento rappresenti il sintomo cardine della malattia, è possibile, anche nella forma severa, che non si presenti fino alla deambulazione autonoma, o che possa non essere così grave da indurre un sospetto diagnostico. Al contempo, la rarità della patologia può contribuire al ritardo diagnostico per il mancato riconoscimento dei sintomi. È quindi utile e importante conoscere non solo il possibile spettro di presentazione della patologia nelle differenti epoche di sviluppo, ma anche sapere che può esordire fin dalle epoche più precoci; in particolare la presentazione neonatale, come nel caso del nostro paziente, sembrerebbe manifestarsi dal 15 al 33% dei casi4.

In un ampio studio prospettico americano5 condotto su 580 bambini di età compresa tra 0 e 24 mesi, la presentazione clinica della emofilia è stata valutata in tre periodi critici. Nel primo mese di vita le tre manifestazioni cardine sono risultate essere l’emorragia da circoncisione, in quanto pratica diffusa in America; l’emorragia intracranica, associata nel 94% dei casi a parto vaginale; il sanguinamento da prelievo ematico, che è stata la prima manifestazione clinica del nostro paziente, e in letteratura presenta una incidenza nel primo mese di vita del 16-20%. Nel nostro paziente, il taglio cesareo effettuato per distocia cervicale ha agito verosimilmente da fattore protettivo. Il sanguinamento da somministrazione intramuscolo di vitamina K in epoca neonatale presenta una ricorrenza solo del 3,4% in letteratura.5 Il nostro paziente infatti non ha presentato tale complicanza.

Tra il 1° e il 6° mese, il sanguinamento dei tessuti molli (ecchimosi ed ematomi) è invece l’evenienza più frequente, conseguenza dei traumi che possono verificarsi in seguito all’acquisizione delle competenze motorie del lattante. Il sanguinamento del cavo orale o di altre sedi (intramuscolare e intrarticolare) sembrerebbe invece più tipico delle età successive. Lo stesso gruppo di studio ha di recente aggiornato i dati e l’ampia casistica, indicando, senza suddivisione per età, le sedi più frequenti di sanguinamento dei pazienti emofilici6 (Tabella 2).




Tra queste, in accordo con le linee guida del 2012,3 è importante ricordare che il muscolo ileopsoas e l’articolazione dell’anca sono il muscolo e l’articolazione colpite più di frequente; tra le possibili manifestazioni extra-muscolari ed extra- articolari, meritano menzione l’ematuria e la metrorragia fin dal menarca per il tratto genito-urinario, e l’ematemesi e la melena per il tratto gastrointestinale.

Un dato importante riportato dalla mamma del nostro paziente è rappresentato dalla tumefazione in sede di vaccinazione intramuscolare. Una recente consensus ha infatti stabilito, a seguito di un’ampia revisione della letteratura, le linee guida per la vaccinazione dei pazienti con emofilia. Nello specifico, indipendentemente dalla gravità della malattia, l’iniezione con l’ago più fine possibile, per via sottocutanea invece che intramuscolare, e preceduta e seguita da crioterapia, rappresenterebbe la metodica di elezione.7




Nello studio americano citato in precedenza,5 la diagnosi è stata posta entro il primo mese di vita nel 75% dei pazienti, con un’età media di 2 giorni per l’emofilia A severa. La conoscenza dello stato di portatrice della madre è risultata un fattore determinante per la precocità della diagnosi e la prevenzione delle complicanze (espletamento del parto mediante taglio cesareo).

Conclusioni

Il caso descritto fa riflettere in primo luogo per il ritardo diagnostico (16 mesi), peraltro indicato come possibile anche in letteratura,8 a testimonianza del fatto che la rarità di una patologia può comprometterne il riconoscimento, specie quando lo stato di portatore materno o la storia familiare non siano noti, come nel caso del nostro paziente alla nascita. La conoscenza dello stato di portatore della madre o della storia familiare è importante, tuttavia non rappresenta un fattore limitante8). La diagnosi precoce di emofilia è fondamentale non solo per il pericolo di emorragie life-treatening, ma per l’impostazione precoce di uno stile di vita adeguato10 che aiuti a prevenire, insieme ad un corretto utilizzo della terapia sostitutiva, la formazione di emartri, che conducono a deformità ossee. È inoltre importante evitare farmaci che potrebbero favorire un sanguinamento (per esempio i FANS). È bene anche ricordare che la diagnosi precoce di emofilia in età pediatrica può consentire la diagnosi di stato di portatore della madre, non sempre totalmente asintomatica, come mostrano recenti evidenze9 (Figura 3).

La descrizione del nostro caso è utile infine poiché sottolinea che l’emofilia, anche nella sua variante più severa, può essere a lungo silente, oppure manifestarsi fin dall’epoca neonatale in modo non grave come ci si aspetterebbe, anche solo con una soffusione emorragica da prelievo ematico, in assenza di altri sanguinamenti (monitoraggio DTX, iniezione intramuscolo di vitamina K, Test di Guthrie), come è accaduto per il nostro paziente. In tali casi, è sempre consigliabile un approfondimento anamnestico e laboratoristico, con dosaggio di PT e PTT e correzione con miscela di fattori al 50% anche in caso di riscontro di valori al limite superiore per età. Inoltre, in considerazione del fatto che, tranne il fattore VIII, i livelli degli altri fattori raggiungono i valori dell’adulto verso i 3 mesi di vita, è sempre consigliabile una consulenza ematologica specialistica presso un centro di riferimento

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

Bibliografia

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