Conoscere lo strumento di diagnostica più usato della pandemia

Il tampone nasofaringeo è il primo step nella diagnosi di un caso di Covid-19 ed è operatore-dipendente. L’importanza di un’esecuzione ben fatta per limitare il numero di falsi negativi.

Piero Valentini1,2, Arianna Turriziani Colonna1

1 Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

2 Dipartimento Scienze della Salute della Donna e del Bambino e di Sanità Pubblica, Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” IRCCS, Roma

Il virus SARS-CoV-2, rileva­to in Cina nel 2019, si è rapidamente diffuso in tutto il mondo portando un carico ingente di morbilità e mortalità. Sin da subito è sorta la necessità di individuare i soggetti infetti, sia sintomatici che asintomatici, per identificare i malati, avviare il tracciamento dei contatti e limitare il diffondersi dell’infezione che ha creato conseguenze devastanti a livello sociale ed economico globalmente.

Come identificare i soggetti infetti? Lo strumento più utilizzato per la sua praticità e rapidità è il tampone nasofaringeo. Il materiale biologico prelevato può essere analizzato con varie tecniche in grado di fornire un riscontro in pochi minuti o ore. Sul campione viene ricercata la presenza di antigeni virali (test antigenico) oppure si procede all’amplificazione dell’RNA virale tramite la Real-Time Polimerase Chain Reaction (test molecolare).

Per identificare le persone infette o che lo sono state in passato esiste anche la possibilità di dosare la sierologia (IgM, IgG, IgA anti-SARS-CoV-2) ma è il metodo meno frequentemente impiegato e più legato alle variabili “tempo” di infezione e “risposta del sistema immunitario” dell’ospite.

Chi deve essere testato? Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) bisogna decidere chi testare sulla base di fattori sia clinici che epidemiologici. Priorità va ai sintomatici, per i quali è raccomandata l’esecuzione di un test molecolare. In molte nazioni i criteri per decidere chi testare (e come comportarsi dopo il risultato) vengono costantemente aggiornati e variano all’interno del territorio nazionale stesso sulla base delle risorse disponibili.

Tipi di tampone esistenti

Test molecolare

La diagnostica molecolare è considerata il gold standard per identificare il SARS-CoV-2. Si ricorre alla diagnostica molecolare in prima istanza o secondariamente, per l’eventuale conferma di un test antigenico risultato dubbio o positivo. Non è un test point of care, il risultato impiega dalle 2 alle 72 ore per arrivare e richiede strumentazioni tipiche solo di laboratori specializzati.1 L’accuratezza in vari studi oscilla tra il 47 e il 100%.2

Esistono diversi metodi di rilevazione del genoma virale, tra cui il più usato è la Real-Time Quantitative Polymerase Chain Reaction (qPCR). La sensibilità di questa tecnica in uno studio su 1052 campioni è risultata essere tra il 95,0 e il 95,3% e la specificità tra il 93,7 e il 98,6%.3 La PCR real time prevede l’estrazione e purificazione dell’RNA virale che viene poi amplificato e analizzato. I campioni biologici vengono lisati prima dell’amplificazione con la reazione polimerasica a catena affinché possano essere estratti gli acidi nucleici.

Altre tecnologie impiegate sono la loop-mediated isothermal amplification (LAMP)4 e la digital PCR (dPCR). La LAMP sta prendendo piede ed ha un’accuratezza stimata del 61-100%. È una tecnica che prevede l’impiego di strumentazioni più semplici, per cui si sta cercando di renderne possibile l’impiego anche come test point-of-care.3 Nel caso del Coronavirus, virus a RNA, la tecnica impiegata prende il nome di RT-LAMP cioè reverse transcription loop-mediated isothermal amplification. L’analisi dell’acido nucleico prevede una reazione del materiale biologico con una trascrittasi inversa che produca un filamento complementare così da generare DNA da RNA, per poi essere amplificato da una DNA polimerasi. Tutti i primers e gli enzimi polimerasi e trascrittasi inversa possono essere incubati insieme, a temperatura costante (“isothermal”), per poi essere sequenziati, e questo ne semplifica la procedura.5

Si sta diffondendo anche la PCR digitale2. Essa permette come la qPCR la quantificazione degli acidi nucleici rilevati. Questa tecnica prevede il frazionamento in tante singole sub-reazioni di PCR. Il campione biologico viene diviso in singole molecole, viene amplificato con la PCR e si ottiene un segnale digitale per cui tramite calcoli matematici (la distribuzione di Poisson) viene eseguita una quantificazione della carica virale.6,7

In una metanalisi apparsa sul Lancet a fine 2021 gli autori hanno paragonato proprio l’accuratezza dei tre metodi di diagnostica molecolare (dPCR, qPCR, and LAMP) per capire quale fosse il migliore. Fino a quel momento la PCR quantitativa deteneva il primato. Nella metanalisi condotta sono state confrontate le fasi di estrazione, di utilizzo della sequenza primer (open reading frame 1ab [ORF1ab] o nucleocapside [N]) e i tipi di campione esaminati (nasofaringeo, salivare o escreato): le tre metodiche sono risultate tutte affidabili, con i risultati migliori se il campione da analizzare era da tampone nasofaringeo. La PCR digitale è risultata il metodo più sensibile, ma tutti e tre sono risultati simili per accuratezza.

Test antigenico

I test antigenici sono utilizzati come test di screening per la loro rapidità nella risposta (da 10 a 30 minuti),3 specialmente nelle zone ad alta prevalenza di infezione da Covid-19 e, ad esempio, nel personale sanitario in regime di sorveglianza continua. Sono spesso test point of care che si possono cioè svolgere al letto del malato.

Ma sono davvero così efficaci nell’individuazione degli infetti? La risposta è sì, abbastanza, anche se tutto influisce sulla sensibilità, dalla metodica utilizzata, dal prelievo del campione biologico al suo trasporto, alla sua analisi.

Gli “antigeni” si ricercano tipicamente nelle secrezioni nasofaringee o nella saliva. Del SARS-CoV-2 i più comunemente individuati sono la proteina N, la proteina S (Spike) e la proteina M.8 Attenzione alla variante Omicron: emerge da alcuni studi che questa ultima variante ha subito molte mutazioni nella proteina Spike, spesso target dei più comuni test antigenici. Dunque, l’affidabilità di molti test disponibili, se diretti alla ricerca della Spike protein, è a rischio: potrebbe risultare un falso negativo se il soggetto è infetto da Coronavirus variante Omicron.

Tra i test rapidi quelli più diffusi sono i cosiddetti “lateral flow tests” che si basano sull’immunocromatografia.

Dopo l’esecuzione del tampone il campione biologico viene versato su un apposito contenitore (in alcune tipologie di test questo andrà poi inserito in un lettore. La matrice del contenitore in una sua porzione è impregnata di particelle marcate (anticorpi diretti contro gli antigeni virali che si vogliono rilevare). La matrice, come una spugna, viene quindi imbevuta del campione di liquido biologico che migra per capillarità verso la regione contenente le particelle marcate cioè gli anticorpi con cui, se presenti, gli antigeni virali interagiranno. L’identificazione avviene spesso grazie a delle linee colorate che se assenti o presenti determineranno il risultato negativo o positivo. Il segnale, nei test più sofisticati, permette anche una quantificazione della carica virale.

Alcuni kit di test antigenici sono autorizzati dalla FDA anche per uso “fai-da-te” e si comprano in farmacia, online o nei supermercati. La persona può fare il test da sola, per sintomi o per screening, e deduce il risultato dalla comparsa o meno di linee colorate. Viene guidata nell’esecuzione e nell’interpretazione del test dalle istruzioni d’uso. In caso di positività è necessario informare il medico curante, oppure, in caso di negatività e presenza di sintomi, sarà opportuno ripetere il test a breve distanza. Questi kit fai-da-te stanno prendendo piede sempre di più, tanto da essere considerati dalle autorità, in alcune circostanze, al pari di un antigenico realizzato da operatori sanitari.

Di solito i campioni nasofaringei hanno una maggior accuratezza dei campioni salivari. La sensibilità stimata dei test in commercio varia dal 66,0 al 93,8% e la specificità può arrivare al 99,96%. Dal 2020 sono stati pubblicati vari studi di validazione degli innumerevoli test antigenici presenti sul mercato. In particolare è stato studiato il LOD cioè il limit of detection o limite di rilevabilità del test, dato che correla direttamente con la sensibilità dello strumento. In uno studio pubblicato su Nature a settembre 2021 sono state analizzate le performance di 19 kit per test “rapidi” antigenici, con lo scopo di stabilire il LOD anche in differenti condizioni di conservazione del tampone e in diversi terreni di trasporto. La soglia di rilevabilità minima era fissata a ≤ 5,0 × 102 pfu/ml (≈ 1,0 × 106copies/ml) come suggerito dalla OMS. Quattordici dei 19 test analizzati hanno raggiunto questo risultato. È stata poi inoltre verificata la sensibilità sulla base delle condizioni di conservazione del campione o del terreno utilizzato. Con il congelamento a -80°C dei campioni, 11 test antigenici hanno perso sensibilità fino a 20 volte, a fronte di precedenti dati che riportavano una minor perdita nei test molecolari, ma a tal proposito mancano ancora sufficienti evidenze.8 Si può solo dire che l’uso di materiale congelato per un tampone antigenico è sconsigliato, d’altronde i tamponi antigenici nascono proprio per essere analizzati rapidamente.

Nonostante i test antigenici abbiano una sensibilità minore della diagnostica molecolare e fortemente dipendente dal tipo di test e dalla procedura impiegata, la loro positività è ormai riconosciuta come correlabile alla presenza di virus in replicazione e di contagiosità.

Come si fa il tampone e chi può farlo?

La prima cosa da tenere a mente è la sicurezza personale. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) ci ricordano di indossare i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) raccomandati.9 Tra questi: le famose mascherine FFP2 (o di livello di protezione maggiore, non basta la chirurgica), occhiali o visiera di protezione, guanti e sovracamice.

Il tampone nasofaringeo è il primo (e spesso unico) step nella diagnosi di un caso di Covid-19. È importante che la procedura di raccolta avvenga nel modo migliore possibile, per limitare il numero di falsi negativi. Come ogni esame in cui agisce la mano umana, anch’esso è operatore dipendente.

Ciascun test, ovviamente, ha le sue “istruzioni per l’uso” provenienti direttamente dalla fabbrica. Le alte vie aeree sono il sito di prima scelta raccomandato dai CDC quando si vuole diagnosticare un’infezione da SARS-CoV-2.

Si devono utilizzare tamponi sterili, sia per non falsare il risultato sia per la sicurezza del paziente. I più diffusi sono con bastoncini in materiale sintetico (di solito plastica) adeguatamente confezionati e conservati in ambiente sterile, mentre sono da evitare alginato di calcio e legno perché contenenti sostanze che inattivano il virus.

L’esecuzione del tampone va riservata a personale sanitario che abbia eseguito un training ad hoc, perché, come vedremo in seguito, la procedura non è priva di complicanze.

Ma che vuol dire nasofaringeo? Il naso è proprio il sito di raccolta raccomandato dai CDC. Il tampone orofaringeo non è, invece, raccomandato, ma, quando eseguito, aumenta la sensibilità dell’esame, se posto nello stesso terreno di trasporto di quello nasale. Nel prelevare il campione dalla bocca si dovrebbe evitare di toccare lingua, denti, tonsille e si dovrebbe arrivare in fondo direttamente dietro l’ugola a toccare il faringe. Nei bambini piccoli e non collaboranti il momento migliore di raccolta è quando aprono la bocca per piangere anche se è molto difficile non incontrare nel cammino la lingua o l’ugola.

Vediamo ora, invece, come si raccoglie il campione dal nasofaringe, il sito di prelievo universalmente raccomandato (Figura 1):




· L’operatore sanitario, dopo aver indossato gli adeguati DPI, inclusi i guanti, fa inclinare la testa al paziente in iperestensione di circa 70 gradi, avendo cura che abbassi la mascherina per scoprire le narici. Nei bimbi abbiamo spesso bisogno di un collega o del genitore che collabori tenendo ferma la testa (e le mani!) del paziente, sia per portare a termine il tampone, sia per evitare che con movimenti improvvisi possa farsi male. Il bambino, infastidito, purtroppo, dal tampone, proverà a strapparselo via, quindi, fare attenzione! A seconda dell’età del paziente si può invitare il genitore a far sedere il bimbo sulle sue gambe, rivolto verso di noi, e con una mano immobilizzare le braccia e con l’altra la fronte, oppure, nel caso di neonati e i lattanti, l’ideale è stendere il paziente sul lettino e portare le braccia del piccolo in alto accanto alla testa così da immobilizzare entrambe.

· Ora la fase più importante: aprire il packaging del tampone così da prenderlo con due dita nella parte sintetica e non toccare la parte che andrà inserita. Con delicatezza inserire il bastoncino del tampone nella prima narice mantenendo una direzione parallela al palato, pavimento delle fosse nasali, fino ad incontrare una resistenza, momento in cui avremo toccato il nasofaringe. Se non incontriamo la parete del nasofaringe e non sappiamo di quanto inserire il tampone nella narice, possiamo quantificare i centimetri di ingresso del bastoncino approssimativamente: tanti quanti sono quelli fra naso e orecchio del paziente. Attenzione a non inclinare il tampone verso l’alto, rischiate che una procedura normalmente innocua provochi un grave danno.

· Una volta dentro, il tampone va ruotato e mantenuto per qualche secondo e poi rimosso sempre con movimento rotatorio.

· Una volta fuori dalla narice, con lo stesso tampone, si può passare all’altra narice e ripetere la manovra.

· È bene non insistere in una narice se si incontrano degli ostacoli al passaggio, si può provare a riuscire e ad entrare con una differente angolazione oppure si cerca di raccogliere più materiale nell’altra.

· A questo punto non resta che inserire il tampone nel flaconcino di trasporto spezzandone il gambo una volta depositato il tampone all’interno (spesso i bastoncini hanno una parte preformata che agevola la separazione in due) e smaltire la porzione destinata ai rifiuti sanitari. Il resto spetterà al laboratorio.

· In conclusione, non dimenticare la sicurezza personale e procedere alla svestizione con accuratezza.

Il tampone nasofaringeo è rischioso?

Nella letteratura troviamo sporadici case report, case series e review10 sulla possibilità di complicanze procedurali legate all’esecuzione del tampone nasofaringeo.

Tra le complicanze più frequentemente descritte si annovera l’epistassi, legata alla fragilità dei plessi vascolari mucosali. Nella stragrande maggioranza dei casi essa si rivela autolimitante ad eccezione di pochissime occasioni in cui è stata descritta la necessità di ricorrere al pronto soccorso per un tamponamento più efficace. Inoltre, a maggior rischio, sono le persone affette da coagulopatie o con malformazioni settali.11

Altra complicanza descritta è la ritenzione di corpo estraneo, cioè del tampone stesso, di quella parte morbida che va a raccogliere le secrezioni sulla mucosa. È un inconveniente più frequente in pazienti che oppongono resistenza all’esecuzione dell’esame o che si verifica se l’operatore non effettua il tampone come raccomandato dai CDC cioè facendo avanzare il bastoncino parallelamente al palato (pavimento delle fosse nasali)9. Se il tampone si stacca e viene ritenuto va consultato subito un otorinolaringoiatra per procedere alla rimozione ed evitare che il corpo estraneo crei infiammazione, sovrainfezione o venga inalato.

Ancora più rara, ma sicuramente più temibile, è la perdita di liquido cefalorachidiano,12 anch’essa legata ad una errata traiettoria del “bastoncino” nel naso e/o alla presenza di predisposizione del soggetto, come in chi è stato precedente operato a livello del massiccio facciale o ha subito interventi neurochirurgici. Questa complicanza nei casi descritti in letteratura ha richiesto la riparazione per via chirurgica e, in un caso, è stata aggravata da una infezione meningea. Per quanto rara, non è, dunque, da sottovalutare.

Considerati i milioni, anzi miliardi di tamponi eseguiti nel mondo, vista l’esiguità delle testimonianze di complicanze, il tampone può ritenersi una procedura sicura, a basso rischio di danni. Allo stesso tempo, spesso, le complicanze periprocedurali non vengono descritte perché autolimitanti, dal più comune fastidio alla semplice epistassi, il che suggerisce una sottostima delle stesse, ma anche una limitata importanza rispetto al valore del tampone.10 .

Gli autori dichiarano di non avere conflitto d’interesse.

Si ringrazia la Prof.ssa Rosaria Santangelo che ha gentilmente provveduto ad un’ulteriore revisione del contenuto.

Bibliografia

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